VERBALI degli Incontri
Re: VERBALI degli Incontri
Verbale di
-CANTO DELLA PIANURA- di KENT HARUF
PROPOSTA DI LAURA
Verbale di Valentina
INCONTRO DEL 22 settembre 2019 a casa dei genitori di Laura a Molinella.
Presenti: Laura (moderatrice), Francesca, Giorgio, Giulia, Laura, Cecilia, Valentina.
Da un breve giro di commenti scopriamo che tutti hanno impiegato poco tempo a leggere il libro: gli eventi narrati hanno quel giusto ritmo che trascina a leggere il seguito. Laura ritiene tutta la “trilogia della pianura” coinvolgente e commovente, soprattutto Canto della pianura e Crepuscolo. Per chi ha letto la trilogia è stato un po' un peccato scoprire che in Benedizione non proseguisse la storia dei personaggi dei primi due libri. Benedizione, prosegue Laura, è stato tra l'altro il primo scritto della trilogia, pur essendo il terzo nella cronologia degli eventi del racconto della immaginaria cittadina di Holt. Il successo di questo autore, aggiunge Francesca, è stato tardivo. La sua vita è stata quella di insegnante, non di scrittore di successo, cosa che porta il pensiero al personaggio di Tom e allo spazio dato in questo libro alle difficoltà dell'insegnamento.
A proposito del TITOLO, Laura commenta che sarebbe da leggere in lingua originale per apprezzare davvero la scelta geniale del parallelo musicale della parola “Plainsong”.
Il titolo riconduce a un'idea di qualcosa che si trascina: la vita della comunità di Holt.
Per Francesca il titolo pone anche una contraddizione poiché non si tratta di qualcosa di piano ma si sentono tante storie e quindi tante voci. Laura invece interpreta il titolo come una questione di eventi della vita, ovvero che la vita scorre così, con eventi traumatici che vengono riassorbiti dalla comunità nel bene e nel male. Un esempio sono i diversi tipi di accoglienza a Victoria da parte degli abitanti di Holt.
Francesca evidenzia questo sistema di alternanza fra rifiuto e accettazione nelle storie di molti personaggi: i piccoli fratelli figli di Tom, Victoria, l'anziana signora che vive sola.
AMBIENTAZIONE: Il romanzo è ambientato a Holt, cittadina immaginaria in Colorado, nelle campagne a poche ore di auto da Denver. Il paesaggio e il clima di questo luogo vengono descritti nel susseguirsi delle stagioni con dettagli realistici. L'autore è nato in Colorado e ha scelto di ambientare la trilogia proprio in questo stato, in una piccola contea attraversata da una ferrovia, pochi negozi, scuole, campagne a perdita d'occhio, fattorie e allevamenti di bestiame, silos di granaglie.
Il TEMPO:
Giulia lo vede quasi come non contestualizzato, pur intuendo che si tratti almeno dei primi anni '90 pensando alla presenza dei furgoni, dei telefoni fissi e all'assenza dei cellulari e al periodo in cui sono stati scritti i romanzi. Anche le problematiche dei personaggi fanno intuire che si tratti di contemporaneità.
Non solo è poco chiaro il momento storico in cui si svolgono le vicende: non si capisce quanto tempo trascorra fra un capitolo e un altro, si percepiscono dei vuoti non quantificabili. C'è di certo un evento naturale che aiuta a scandire il tempo del libro: la gravidanza di Victoria.
STILE di SCRITTURA:
Per Giorgio il LINGUAGGIO è molto ben calato nella realtà, tanto da potersi quasi immaginare lo slang e una parlata locale della cittadina di Holt. Lo stile è lineare e piacevole con descrizioni semplici ma anche accurate e dialoghi essenziali.
Sempre a proposito del linguaggio, Laura aggiunge che le DESCRIZIONI AMBIENTALI e TECNICHE sono ricche, ricercate ed esperte: talmente realistiche da richiamare con poche parole rumori, odori e persino la temperatura delle giornate a Holt. A proposito delle precise descrizioni tecniche, si ricordano quelle delle pratiche di allevamento alla fattoria dei McPheron.
Per Giulia i dialoghi non virgolettati sono inizialmente faticosi, opinione condivisa. Poi ci si abitua calandosi nella lettura. Giorgio ipotizza che sia dovuto alla scelta di mettere il dialogo in secondo piano in quanto non necessario: a volte ciò che leggiamo potrebbe essere un pensiero. Ci sono infatti molti momenti in cui le persone si ritrovano assieme e il silenzio è quasi palpabile, ma solo in alcuni casi è imbarazzante: talvolta i personaggi non sentono affatto la necessità di riempirlo con dialoghi e compiono lunghe sequenze di azioni in silenzio. Ad esempio la routine mattutina della consegna dei giornali per i fratelli Guthrie, i lavori all'allevamento dei fratelli McPheron.
TEMI:
INTEGRITA', GIUSTIZIA, PERDITA AFFETTIVA:
A commuovere sono le storie intrecciate dei sette protagonisti e anche di alcuni personaggi di cui si vede solamente uno scorcio: esempi di varie fasce di età della popolazione e di donne e uomini comuni. I protagonisti sono tutti coloro che sono riuniti assieme nelle ultime pagine: Tom Guthrie e i due figli Ike e Bobby, Maggie, Harold e Raymond McPheron, Victoria Roubideaux. Tutti i sette ispirano un senso profondo di integrità, aspirano a giustizia, ma non sempre la ottengono e commuovono per le loro perdite negli affetti, alcune tipiche delle vite di molti, altre particolari:
-Tom, Ike e Bobby affrontano la vita dopo l'abbandono della madre dei ragazzi;
-Maggie accudisce un padre con Alzheimer o demenza senile, grosso problema contemporaneo;
-Harold e Raymond sono due anziani fratelli che vivono soli fin dall'infanzia dopo la morte di entrambi i genitori in un incidente;
-Victoria viene abbandonata dalla madre dopo la scoperta della gravidanza.
VIOLENZA e MORTE:
Giulia è rimasta colpita dalle descrizioni della violenza sui bambini e che i bambini vedono. A proposito di questo, Laura commenta che certe situazioni sembrano non chiarirsi, non concludersi. Inoltre non per tutto c'è un lieto fine. Giorgio vede proprio in questo il realismo, nel fatto che la vita sia proprio così, con certi fatti che restano inspiegabili, rapporti che restano conflittuali fino alla fine.
Ci sono inoltre delle parti descrittive in questo romanzo che sembrano non avere altro scopo nella trama, come le descrizioni delle procedure veterinarie per i vitelli o la morte del cavallo, se non quello di mostrare come i bambini siano costretti a crescere in fretta, assistendo a eventi crudi e alla morte di animali e persone.
I temi della TRISTEZZA/MALINCONIA e MALATTIA DEPRESSIVA penetrano le vite di tutti i personaggi e ne subiscono le conseguenze anche i bambini. Il libro inizia proprio descrivendo il comportamento della loro madre vittima di una forte depressione, tale da impedirle di alzarsi dal letto. Il padre è costretto a fare per due facendo sentire la propria presenza con gesti come consegnare i giornali per i figli. In questo Giulia vede una descrizione abbastanza realistica della maggior difficoltà maschile nel vivere l'affettività con abbracci e parole, preferendo gesti concreti (come per Tom e per i fratelli Mcpheron l'accoglienza a Victoria). In generale tutti i personaggi mostrano una certa RUDEZZA e incapacità di dimostrare affetto.
Per Giorgio vi è la descrizione di un atteggiamento molto UMANO che è quello di fare finta che i problemi non ci siano e scomparire per non affrontare la vita, atteggiamento che pervade ogni fascia di età.
Giorgio vede il REALISMO anche nel modo in cui viene raccontata la separazione: ci si allontana senza poterci fare nulla, ci si ferisce in un attimo con poche parole.
Nonostante questa tendenza all'accettazione dei problemi, i personaggi per Francesca vanno incontro a una EVOLUZIONE, una MATURAZIONE (tranne quelli proprio molto cattivi ): ad esempio i fratelli McPheron, poco abituati all'affettività, iniziano ad abituarvisi.
LEGAME FRA FRATELLI:
Nonostante l'ambiente così rude, la cura che i fratelli hanno gli uni per gli altri è descritta con naturalezza e dolcezza. C'è un costante parallelismo fra i fratelli Guthrie bambini e i fratelli McPheron anziani. Entrambe le coppie di fratelli si osservano, si rispettano e si riconoscono gli uni negli altri.
I due bambini chiedono al padre spiegazioni sulla vita solitaria dei due fratelli McPheron ma alla fine è il più giovane dei due a dare una risposta: “Ike:(... )Perchè non hanno messo su famiglia come tutti gli altri? (…) Bobby guardò fuori dal finestrino. Disse, Penso che non volessero lasciarsi”.
l'INSEGNAMENTO SCOLASTICO:
anche qui l'approfondimento è attuale sulla difficoltà di insegnanti e presidi con studenti difficili e genitori che negano le mancanze dei figli.
LA COMUNITA':
in un piccolo paese la vita di comunità ha i suoi aspetti negativi come l'invadenza, rappresentata ad esempio dal barbiere che fa maleducatamente domande ai bambini sull'abbandono da parte della madre, o dalle voci che corrono non appena Guthrie frequenta una segretaria. La rudezza e la riservatezza dei personaggi è giustificabile in questo ambiente piccolo. I personaggi positivi, più prosegue il romanzo, più si cercano e si stringono in una comunità dentro la comunità.
la SOLITUDINE di adulti e anziani: un esempio è l'anziana signora che attende i fratelli Guthrie per poter parlare con qualcuno.
la SEPARAZIONE: tutti i matrimoni nominati nella storia sono naufragati, da quello di Guthrie a quello di tutti i suoi conoscenti
l'ACCOGLIENZA in contrapposizione all'abbandono, alla solitudine e alla separazione. Chi è ospitato viene salvato, ma dona una nuova opportunità di essere felice a chi da ospitalità.
la MALATTIA DEPRESSIVA che perseguita chi ne è afflitto (la moglie di Guthrie) ovunque si sposti.
-LA DEBOLEZZA come PUSILLANIMITA' o INDIFFERENZA al male e l'EGOISMO: esempi sono la ragazza che non difende i due bambini che vengono abbandonati in campagna al buio e al freddo, la madre di Victoria e il padre della bambina che deve nascere.
-la FIDUCIA dei personaggi principali gli uni con gli altri.
A fronte di questi temi vediamo personaggi pieni di pazienza e rassegnazione, che fanno scelte coraggiose sull'onda di eventi che li travolgono. Sono personaggi positivi ma non perfetti, come Guthrie, che è consapevole delle proprie colpe nel matrimonio finito e consapevole della fortuna di una nuova opportunità con Maggie: fa tenerezza quando parla a se stesso allo specchio dicendosi di non meritarsela. Guthrie è coerente e integro professionalmente, capace anche di perdere quella sua pazienza costante nel momento in cui qualcuno minaccia i figli. Per questa umanità che pervade tutti i personaggi il libro ha coinvolto tutti così profondamente.
Prossimo libro: Ubik di PK Dick
-CANTO DELLA PIANURA- di KENT HARUF
PROPOSTA DI LAURA
Verbale di Valentina
INCONTRO DEL 22 settembre 2019 a casa dei genitori di Laura a Molinella.
Presenti: Laura (moderatrice), Francesca, Giorgio, Giulia, Laura, Cecilia, Valentina.
Da un breve giro di commenti scopriamo che tutti hanno impiegato poco tempo a leggere il libro: gli eventi narrati hanno quel giusto ritmo che trascina a leggere il seguito. Laura ritiene tutta la “trilogia della pianura” coinvolgente e commovente, soprattutto Canto della pianura e Crepuscolo. Per chi ha letto la trilogia è stato un po' un peccato scoprire che in Benedizione non proseguisse la storia dei personaggi dei primi due libri. Benedizione, prosegue Laura, è stato tra l'altro il primo scritto della trilogia, pur essendo il terzo nella cronologia degli eventi del racconto della immaginaria cittadina di Holt. Il successo di questo autore, aggiunge Francesca, è stato tardivo. La sua vita è stata quella di insegnante, non di scrittore di successo, cosa che porta il pensiero al personaggio di Tom e allo spazio dato in questo libro alle difficoltà dell'insegnamento.
A proposito del TITOLO, Laura commenta che sarebbe da leggere in lingua originale per apprezzare davvero la scelta geniale del parallelo musicale della parola “Plainsong”.
Il titolo riconduce a un'idea di qualcosa che si trascina: la vita della comunità di Holt.
Per Francesca il titolo pone anche una contraddizione poiché non si tratta di qualcosa di piano ma si sentono tante storie e quindi tante voci. Laura invece interpreta il titolo come una questione di eventi della vita, ovvero che la vita scorre così, con eventi traumatici che vengono riassorbiti dalla comunità nel bene e nel male. Un esempio sono i diversi tipi di accoglienza a Victoria da parte degli abitanti di Holt.
Francesca evidenzia questo sistema di alternanza fra rifiuto e accettazione nelle storie di molti personaggi: i piccoli fratelli figli di Tom, Victoria, l'anziana signora che vive sola.
AMBIENTAZIONE: Il romanzo è ambientato a Holt, cittadina immaginaria in Colorado, nelle campagne a poche ore di auto da Denver. Il paesaggio e il clima di questo luogo vengono descritti nel susseguirsi delle stagioni con dettagli realistici. L'autore è nato in Colorado e ha scelto di ambientare la trilogia proprio in questo stato, in una piccola contea attraversata da una ferrovia, pochi negozi, scuole, campagne a perdita d'occhio, fattorie e allevamenti di bestiame, silos di granaglie.
Il TEMPO:
Giulia lo vede quasi come non contestualizzato, pur intuendo che si tratti almeno dei primi anni '90 pensando alla presenza dei furgoni, dei telefoni fissi e all'assenza dei cellulari e al periodo in cui sono stati scritti i romanzi. Anche le problematiche dei personaggi fanno intuire che si tratti di contemporaneità.
Non solo è poco chiaro il momento storico in cui si svolgono le vicende: non si capisce quanto tempo trascorra fra un capitolo e un altro, si percepiscono dei vuoti non quantificabili. C'è di certo un evento naturale che aiuta a scandire il tempo del libro: la gravidanza di Victoria.
STILE di SCRITTURA:
Per Giorgio il LINGUAGGIO è molto ben calato nella realtà, tanto da potersi quasi immaginare lo slang e una parlata locale della cittadina di Holt. Lo stile è lineare e piacevole con descrizioni semplici ma anche accurate e dialoghi essenziali.
Sempre a proposito del linguaggio, Laura aggiunge che le DESCRIZIONI AMBIENTALI e TECNICHE sono ricche, ricercate ed esperte: talmente realistiche da richiamare con poche parole rumori, odori e persino la temperatura delle giornate a Holt. A proposito delle precise descrizioni tecniche, si ricordano quelle delle pratiche di allevamento alla fattoria dei McPheron.
Per Giulia i dialoghi non virgolettati sono inizialmente faticosi, opinione condivisa. Poi ci si abitua calandosi nella lettura. Giorgio ipotizza che sia dovuto alla scelta di mettere il dialogo in secondo piano in quanto non necessario: a volte ciò che leggiamo potrebbe essere un pensiero. Ci sono infatti molti momenti in cui le persone si ritrovano assieme e il silenzio è quasi palpabile, ma solo in alcuni casi è imbarazzante: talvolta i personaggi non sentono affatto la necessità di riempirlo con dialoghi e compiono lunghe sequenze di azioni in silenzio. Ad esempio la routine mattutina della consegna dei giornali per i fratelli Guthrie, i lavori all'allevamento dei fratelli McPheron.
TEMI:
INTEGRITA', GIUSTIZIA, PERDITA AFFETTIVA:
A commuovere sono le storie intrecciate dei sette protagonisti e anche di alcuni personaggi di cui si vede solamente uno scorcio: esempi di varie fasce di età della popolazione e di donne e uomini comuni. I protagonisti sono tutti coloro che sono riuniti assieme nelle ultime pagine: Tom Guthrie e i due figli Ike e Bobby, Maggie, Harold e Raymond McPheron, Victoria Roubideaux. Tutti i sette ispirano un senso profondo di integrità, aspirano a giustizia, ma non sempre la ottengono e commuovono per le loro perdite negli affetti, alcune tipiche delle vite di molti, altre particolari:
-Tom, Ike e Bobby affrontano la vita dopo l'abbandono della madre dei ragazzi;
-Maggie accudisce un padre con Alzheimer o demenza senile, grosso problema contemporaneo;
-Harold e Raymond sono due anziani fratelli che vivono soli fin dall'infanzia dopo la morte di entrambi i genitori in un incidente;
-Victoria viene abbandonata dalla madre dopo la scoperta della gravidanza.
VIOLENZA e MORTE:
Giulia è rimasta colpita dalle descrizioni della violenza sui bambini e che i bambini vedono. A proposito di questo, Laura commenta che certe situazioni sembrano non chiarirsi, non concludersi. Inoltre non per tutto c'è un lieto fine. Giorgio vede proprio in questo il realismo, nel fatto che la vita sia proprio così, con certi fatti che restano inspiegabili, rapporti che restano conflittuali fino alla fine.
Ci sono inoltre delle parti descrittive in questo romanzo che sembrano non avere altro scopo nella trama, come le descrizioni delle procedure veterinarie per i vitelli o la morte del cavallo, se non quello di mostrare come i bambini siano costretti a crescere in fretta, assistendo a eventi crudi e alla morte di animali e persone.
I temi della TRISTEZZA/MALINCONIA e MALATTIA DEPRESSIVA penetrano le vite di tutti i personaggi e ne subiscono le conseguenze anche i bambini. Il libro inizia proprio descrivendo il comportamento della loro madre vittima di una forte depressione, tale da impedirle di alzarsi dal letto. Il padre è costretto a fare per due facendo sentire la propria presenza con gesti come consegnare i giornali per i figli. In questo Giulia vede una descrizione abbastanza realistica della maggior difficoltà maschile nel vivere l'affettività con abbracci e parole, preferendo gesti concreti (come per Tom e per i fratelli Mcpheron l'accoglienza a Victoria). In generale tutti i personaggi mostrano una certa RUDEZZA e incapacità di dimostrare affetto.
Per Giorgio vi è la descrizione di un atteggiamento molto UMANO che è quello di fare finta che i problemi non ci siano e scomparire per non affrontare la vita, atteggiamento che pervade ogni fascia di età.
Giorgio vede il REALISMO anche nel modo in cui viene raccontata la separazione: ci si allontana senza poterci fare nulla, ci si ferisce in un attimo con poche parole.
Nonostante questa tendenza all'accettazione dei problemi, i personaggi per Francesca vanno incontro a una EVOLUZIONE, una MATURAZIONE (tranne quelli proprio molto cattivi ): ad esempio i fratelli McPheron, poco abituati all'affettività, iniziano ad abituarvisi.
LEGAME FRA FRATELLI:
Nonostante l'ambiente così rude, la cura che i fratelli hanno gli uni per gli altri è descritta con naturalezza e dolcezza. C'è un costante parallelismo fra i fratelli Guthrie bambini e i fratelli McPheron anziani. Entrambe le coppie di fratelli si osservano, si rispettano e si riconoscono gli uni negli altri.
I due bambini chiedono al padre spiegazioni sulla vita solitaria dei due fratelli McPheron ma alla fine è il più giovane dei due a dare una risposta: “Ike:(... )Perchè non hanno messo su famiglia come tutti gli altri? (…) Bobby guardò fuori dal finestrino. Disse, Penso che non volessero lasciarsi”.
l'INSEGNAMENTO SCOLASTICO:
anche qui l'approfondimento è attuale sulla difficoltà di insegnanti e presidi con studenti difficili e genitori che negano le mancanze dei figli.
LA COMUNITA':
in un piccolo paese la vita di comunità ha i suoi aspetti negativi come l'invadenza, rappresentata ad esempio dal barbiere che fa maleducatamente domande ai bambini sull'abbandono da parte della madre, o dalle voci che corrono non appena Guthrie frequenta una segretaria. La rudezza e la riservatezza dei personaggi è giustificabile in questo ambiente piccolo. I personaggi positivi, più prosegue il romanzo, più si cercano e si stringono in una comunità dentro la comunità.
la SOLITUDINE di adulti e anziani: un esempio è l'anziana signora che attende i fratelli Guthrie per poter parlare con qualcuno.
la SEPARAZIONE: tutti i matrimoni nominati nella storia sono naufragati, da quello di Guthrie a quello di tutti i suoi conoscenti
l'ACCOGLIENZA in contrapposizione all'abbandono, alla solitudine e alla separazione. Chi è ospitato viene salvato, ma dona una nuova opportunità di essere felice a chi da ospitalità.
la MALATTIA DEPRESSIVA che perseguita chi ne è afflitto (la moglie di Guthrie) ovunque si sposti.
-LA DEBOLEZZA come PUSILLANIMITA' o INDIFFERENZA al male e l'EGOISMO: esempi sono la ragazza che non difende i due bambini che vengono abbandonati in campagna al buio e al freddo, la madre di Victoria e il padre della bambina che deve nascere.
-la FIDUCIA dei personaggi principali gli uni con gli altri.
A fronte di questi temi vediamo personaggi pieni di pazienza e rassegnazione, che fanno scelte coraggiose sull'onda di eventi che li travolgono. Sono personaggi positivi ma non perfetti, come Guthrie, che è consapevole delle proprie colpe nel matrimonio finito e consapevole della fortuna di una nuova opportunità con Maggie: fa tenerezza quando parla a se stesso allo specchio dicendosi di non meritarsela. Guthrie è coerente e integro professionalmente, capace anche di perdere quella sua pazienza costante nel momento in cui qualcuno minaccia i figli. Per questa umanità che pervade tutti i personaggi il libro ha coinvolto tutti così profondamente.
Prossimo libro: Ubik di PK Dick
Re: VERBALI degli Incontri
UBIK, di Philip Dick
Incontro tenutosi il 3 febbraio 2020 a Ferrara
Presenti all’incontro: Giorgio, Giulia, Elena, Valentina e Francesca
Chi è P. Dick? Pur avendo scritto i suoi principali romanzi tra gli anni '50 e '60 del secolo scorso, il genio letterario di Philip K. Dick divenne noto al grande pubblico solo nel 1982, in seguito al successo cinematografico di Blade Runner, un film liberamente tratto dal suo romanzo Il cacciatore di androidi. Ma lo scrittore non poté godersi la meritata notorietà, perché morì proprio in quell'anno, poco prima dell'uscita nelle sale cinematografiche del film che l'avrebbe reso un immortale pilastro della letteratura fantascientifica.
Ebbe una gemella morta da piccola. I genitori, dopo la morte della bambina, costruirono una tomba anche per lui. La circostanza, parecchio inquietante, contribuì a generare in Dick una forte depressione, curata poi con psicofarmaci e anfetamine che provocavano allo scrittore allucinazione e stato di alterazione psico-fisica.
Le TEMATICHE affrontate nel romanzo sono:
Chi sei tu e qual è la tua essenza? Sei vivo o morto? Sei una persona o una macchina?
Controllo sia divino sia della società sull’individuo
Disastro ecologico
Classe dirigente VS Massa inconsapevole
Menzogna delle guerre necessarie (vedi anche “La svastica sul sole”)
Tempo, tempi e stadi temporali
Morte
Donna ambigua (Pat: donna dai capelli scuri con un potere attrattivo molto forte. Che sia forse un richiamo alla sorella dello scrittore morta da piccola??)
Autentico VS Tarocco: a tal riguardo abbiamo parlato dei vestiti di Gucci che di fatto non sono belli, ma fanno molta tendenza nonostante siano strambi e ridicoli (consumismo); torna anche in questa contrapposizione il concetto di identità (non so chi sono e non ho personalità, quindi cerco vestiti originali e di tendenza per distinguermi e per affermare la mia identità.
Tecnologia: E' mattina. Joe Chip, impiegato in un'agenzia che si occupa di neutralizzare spie dotate di poteri paranormali, si sveglia con indosso un pigiama a righe e si siede pigramente al tavolo della cucina. Quindi inserisce una monetina nella sua macchina omeodiana e passa in rassegna le principali notizie interplanetarie del giorno. Indugia un attimo sulle notizie interne e poi sceglie la sezione pettegolezzi.
La macchina omeodiana risponde come un vero e proprio assistente vocale: "Sì, signore. Pettegolezzi. Indovinate cosa sta combinando proprio in questo momento Stanton Mick...". E fino a questo punto, la descrizione fornita da Dick corrisponde esattamente a quello che molti di noi fanno ogni mattina nel 2020, 50 anni dopo la pubblicazione di Ubik. Nell'America degli anni Sessanta, però, ti svegliavi e, con la vestaglia ancora indosso, aprivi la porta di casa per trovare un quotidiano (assolutamente cartaceo) sul tappetino di benvenuto. Quindi ti dirigevi in cucina per fare colazione, srotolando il giornale e dando un'occhiata alle principali notizie del giorno. Come faceva Philip Dick a prevedere che la tecnologia ci avrebbe fornito proprio queste comodità? Genialità o allucinazioni date dal consumo di sostanze stupefacenti? Comunque la si voglia pensare, resta il fatto che la macchina omeodiana di cui parla lo scrittore potrebbe corrispondere perfettamente ad un odierno PC o ad uno smartphone di ultima generazione. Nel romanzo, questo macchinario è anche in grado di stampare la notizia. Forse perché l'ipotesi di abbandonare del tutto la carta stampata era un po' troppo avveniristica anche per lo stesso Dick.
Nel libro si ritrovano sempre due forze in contrasto tra loro: DECADIMENTO (Jary il vampiro) vs UBIK, una sostanza creata dai per allungare l’esistenza. In particolare, chi aiuta i semivivi è Ella, la moglie defunta di Runciter, che sta passando oltre e vuole rinascere.
Lei vuole aiutare Runciter tramite i suoi dipendenti semivivi. Ma che cos’è esattamente UBIK? Un elisir di lunga vita? Una medicina? Un prodotto commerciale (pubblicità)?
Il materialismo imperante di cui è intriso il romanzo si accentua ancora di più quando gli oggetti che popolano il mondo iniziano a regredire. La velocità con cui ogni cosa si modifica e si dissolve è una metafora della costante decadenza tipica della nostra epoca. Una decadenza che interessa soprattutto i valori, l'etica e la moralità dell'uomo contemporaneo. L'uomo che vive nel futuro descritto da Dick è presuntuoso e, nel suo delirio di onnipotenza, pretende di sostituirsi a Dio; non è molto diverso dall'uomo di oggi, che si arroga il diritto di decidere sulla vita e sulla morte altrui, dedicandosi a pratiche come l'aborto, l'eutanasia, la clonazione e la generazione della vita in laboratorio. Ma in Ubik, Dick si spinge addirittura oltre, prevedendo un futuro in cui si possono "congelare" gli ultimi attimi di vita che restano ad un uomo, posticipandone la morte definitiva.
A volte, nel romanzo, si entra in un loop: chi è vivo? Runciter o gli altri? Cambia continuamente il punto di vista. L’obbiettivo dello scrittore è quello di disorientare il lettore (v. moneta con la faccia di Joe).
Nel romanzo, i personaggi sono prigionieri degli oggetti.
Nel mondo descritto in Ubik, che temporalmente si colloca attorno al 1992, ogni elettrodomestico funziona previo inserimento di monetine. Per far partire la caffettiera, ad esempio, serve un soldino. Idem dicasi per la porta di casa, in cui bisogna inserire 5 centesimi ogni volta che la si vuole aprire.
"Tornato in cucina, cercò nelle varie tasche una monetina, e con essa fece partire la caffettiera (...) camminò vigorosamente fino alla porta dell'appartamento, girò la maniglia e tirò il catenaccio. La porta rifiutò di aprirsi. Disse invece: <Cinque centesimi, prego>".
Di primo acchito, l'idea degli elettrodomestici che chiedono denaro per funzionare può sembrare balzana, ma se proiettata nei giorni nostri assume un significato molto chiaro e profondamente inquietante. Dick aveva visto lontano anche in questo caso. Aveva già capito che ad un certo punto sarebbero stati agli oggetti a possederci, e non viceversa
I personaggi del romanzo sono vittime del consumismo, sono dei “polli da spennare”. Non hanno reali necessità, ma vengono indotti dal sistema a fare acquisti inutili. E’ quello che succede oggi, nella società contemporanea. Dick è riuscito a prevedere come ci saremmo ridotti (consumismo sfrenato, per cui compri anche ciò di cui non hai bisogno).
V. piramide dei bisogni di Maslow (bisogni non basici, cose inutili e voluttuarie, cose necessarie come abbigliamento strettamente necessario a proteggersi dal freddo e cibo.
Anticipando i tempi e intravedendo gli effetti devastanti del consumismo moderno, Dick critica l’ossessione dell’avere e il bisogno maniacale di monetizzare ogni cosa. Forse ancora non ce ne rendiamo conto, ma oggi paghiamo per qualunque cosa. Prendiamo Facebook, ad esempio. Solo apparentemente ci sembra di usarlo gratis. Il social network, infatti, si nutre dei nostri dati e delle nostre preferenze. E' tutto un do ut des.
Dick, però, negli anni ‘60 pensava che negli anni 90 l’uomo sarebbe andato su Marte e sulla Luna quotidianamente (macchine volanti). Da questo punto di vista non ci ha azzeccato. Tuttavia, Giorgio dice che una forte accelerazione in termini tecnologici c’è comunque stata. Non sulle grandi cose, ma su cose finalizzate al business, come i PC e i media (v. algoritmi con fini commerciali, Grande Fratello)
Secondo Giorgio, la società non è poi cambiata così tanto rispetto all’epoca in cui scriveva Dick. Forse sono cambiati i mezzi ma non i contenuti.
In relazione al romanzo, abbiamo anche discusso sul fatto che l’eccesso di informazioni non è sempre è un bene. Anzi, il più delle volte genera ignoranza. Non si riesce più a distinguere una notizia reale da una fake news (disinformazione).
Laura propone il titolo del prossimo incontro: "La mia vita", di Marc Chagall.
Incontro tenutosi il 3 febbraio 2020 a Ferrara
Presenti all’incontro: Giorgio, Giulia, Elena, Valentina e Francesca
Chi è P. Dick? Pur avendo scritto i suoi principali romanzi tra gli anni '50 e '60 del secolo scorso, il genio letterario di Philip K. Dick divenne noto al grande pubblico solo nel 1982, in seguito al successo cinematografico di Blade Runner, un film liberamente tratto dal suo romanzo Il cacciatore di androidi. Ma lo scrittore non poté godersi la meritata notorietà, perché morì proprio in quell'anno, poco prima dell'uscita nelle sale cinematografiche del film che l'avrebbe reso un immortale pilastro della letteratura fantascientifica.
Ebbe una gemella morta da piccola. I genitori, dopo la morte della bambina, costruirono una tomba anche per lui. La circostanza, parecchio inquietante, contribuì a generare in Dick una forte depressione, curata poi con psicofarmaci e anfetamine che provocavano allo scrittore allucinazione e stato di alterazione psico-fisica.
Le TEMATICHE affrontate nel romanzo sono:
Chi sei tu e qual è la tua essenza? Sei vivo o morto? Sei una persona o una macchina?
Controllo sia divino sia della società sull’individuo
Disastro ecologico
Classe dirigente VS Massa inconsapevole
Menzogna delle guerre necessarie (vedi anche “La svastica sul sole”)
Tempo, tempi e stadi temporali
Morte
Donna ambigua (Pat: donna dai capelli scuri con un potere attrattivo molto forte. Che sia forse un richiamo alla sorella dello scrittore morta da piccola??)
Autentico VS Tarocco: a tal riguardo abbiamo parlato dei vestiti di Gucci che di fatto non sono belli, ma fanno molta tendenza nonostante siano strambi e ridicoli (consumismo); torna anche in questa contrapposizione il concetto di identità (non so chi sono e non ho personalità, quindi cerco vestiti originali e di tendenza per distinguermi e per affermare la mia identità.
Tecnologia: E' mattina. Joe Chip, impiegato in un'agenzia che si occupa di neutralizzare spie dotate di poteri paranormali, si sveglia con indosso un pigiama a righe e si siede pigramente al tavolo della cucina. Quindi inserisce una monetina nella sua macchina omeodiana e passa in rassegna le principali notizie interplanetarie del giorno. Indugia un attimo sulle notizie interne e poi sceglie la sezione pettegolezzi.
La macchina omeodiana risponde come un vero e proprio assistente vocale: "Sì, signore. Pettegolezzi. Indovinate cosa sta combinando proprio in questo momento Stanton Mick...". E fino a questo punto, la descrizione fornita da Dick corrisponde esattamente a quello che molti di noi fanno ogni mattina nel 2020, 50 anni dopo la pubblicazione di Ubik. Nell'America degli anni Sessanta, però, ti svegliavi e, con la vestaglia ancora indosso, aprivi la porta di casa per trovare un quotidiano (assolutamente cartaceo) sul tappetino di benvenuto. Quindi ti dirigevi in cucina per fare colazione, srotolando il giornale e dando un'occhiata alle principali notizie del giorno. Come faceva Philip Dick a prevedere che la tecnologia ci avrebbe fornito proprio queste comodità? Genialità o allucinazioni date dal consumo di sostanze stupefacenti? Comunque la si voglia pensare, resta il fatto che la macchina omeodiana di cui parla lo scrittore potrebbe corrispondere perfettamente ad un odierno PC o ad uno smartphone di ultima generazione. Nel romanzo, questo macchinario è anche in grado di stampare la notizia. Forse perché l'ipotesi di abbandonare del tutto la carta stampata era un po' troppo avveniristica anche per lo stesso Dick.
Nel libro si ritrovano sempre due forze in contrasto tra loro: DECADIMENTO (Jary il vampiro) vs UBIK, una sostanza creata dai per allungare l’esistenza. In particolare, chi aiuta i semivivi è Ella, la moglie defunta di Runciter, che sta passando oltre e vuole rinascere.
Lei vuole aiutare Runciter tramite i suoi dipendenti semivivi. Ma che cos’è esattamente UBIK? Un elisir di lunga vita? Una medicina? Un prodotto commerciale (pubblicità)?
Il materialismo imperante di cui è intriso il romanzo si accentua ancora di più quando gli oggetti che popolano il mondo iniziano a regredire. La velocità con cui ogni cosa si modifica e si dissolve è una metafora della costante decadenza tipica della nostra epoca. Una decadenza che interessa soprattutto i valori, l'etica e la moralità dell'uomo contemporaneo. L'uomo che vive nel futuro descritto da Dick è presuntuoso e, nel suo delirio di onnipotenza, pretende di sostituirsi a Dio; non è molto diverso dall'uomo di oggi, che si arroga il diritto di decidere sulla vita e sulla morte altrui, dedicandosi a pratiche come l'aborto, l'eutanasia, la clonazione e la generazione della vita in laboratorio. Ma in Ubik, Dick si spinge addirittura oltre, prevedendo un futuro in cui si possono "congelare" gli ultimi attimi di vita che restano ad un uomo, posticipandone la morte definitiva.
A volte, nel romanzo, si entra in un loop: chi è vivo? Runciter o gli altri? Cambia continuamente il punto di vista. L’obbiettivo dello scrittore è quello di disorientare il lettore (v. moneta con la faccia di Joe).
Nel romanzo, i personaggi sono prigionieri degli oggetti.
Nel mondo descritto in Ubik, che temporalmente si colloca attorno al 1992, ogni elettrodomestico funziona previo inserimento di monetine. Per far partire la caffettiera, ad esempio, serve un soldino. Idem dicasi per la porta di casa, in cui bisogna inserire 5 centesimi ogni volta che la si vuole aprire.
"Tornato in cucina, cercò nelle varie tasche una monetina, e con essa fece partire la caffettiera (...) camminò vigorosamente fino alla porta dell'appartamento, girò la maniglia e tirò il catenaccio. La porta rifiutò di aprirsi. Disse invece: <Cinque centesimi, prego>".
Di primo acchito, l'idea degli elettrodomestici che chiedono denaro per funzionare può sembrare balzana, ma se proiettata nei giorni nostri assume un significato molto chiaro e profondamente inquietante. Dick aveva visto lontano anche in questo caso. Aveva già capito che ad un certo punto sarebbero stati agli oggetti a possederci, e non viceversa
I personaggi del romanzo sono vittime del consumismo, sono dei “polli da spennare”. Non hanno reali necessità, ma vengono indotti dal sistema a fare acquisti inutili. E’ quello che succede oggi, nella società contemporanea. Dick è riuscito a prevedere come ci saremmo ridotti (consumismo sfrenato, per cui compri anche ciò di cui non hai bisogno).
V. piramide dei bisogni di Maslow (bisogni non basici, cose inutili e voluttuarie, cose necessarie come abbigliamento strettamente necessario a proteggersi dal freddo e cibo.
Anticipando i tempi e intravedendo gli effetti devastanti del consumismo moderno, Dick critica l’ossessione dell’avere e il bisogno maniacale di monetizzare ogni cosa. Forse ancora non ce ne rendiamo conto, ma oggi paghiamo per qualunque cosa. Prendiamo Facebook, ad esempio. Solo apparentemente ci sembra di usarlo gratis. Il social network, infatti, si nutre dei nostri dati e delle nostre preferenze. E' tutto un do ut des.
Dick, però, negli anni ‘60 pensava che negli anni 90 l’uomo sarebbe andato su Marte e sulla Luna quotidianamente (macchine volanti). Da questo punto di vista non ci ha azzeccato. Tuttavia, Giorgio dice che una forte accelerazione in termini tecnologici c’è comunque stata. Non sulle grandi cose, ma su cose finalizzate al business, come i PC e i media (v. algoritmi con fini commerciali, Grande Fratello)
Secondo Giorgio, la società non è poi cambiata così tanto rispetto all’epoca in cui scriveva Dick. Forse sono cambiati i mezzi ma non i contenuti.
In relazione al romanzo, abbiamo anche discusso sul fatto che l’eccesso di informazioni non è sempre è un bene. Anzi, il più delle volte genera ignoranza. Non si riesce più a distinguere una notizia reale da una fake news (disinformazione).
Laura propone il titolo del prossimo incontro: "La mia vita", di Marc Chagall.
Re: VERBALI degli Incontri
Verbale di "La mia vita" di Marc Chagall
20 settembre 2020
TITOLO: “La mia vita” di Marc Chagall
Libro proposto da Laura Rizzi
Presenti all’incontro: Anna, Valentina, Giulia, Giorgio, Francesca
Marc Chagall (1887-1985) scrisse "La mia vita" in lingua russa tra il 1921 e il 1922, poco prima di lasciare definitivamente Mosca dopo l'esperienza esaltante e dolorosa della Rivoluzione, e nello stesso periodo compose i disegni che accompagnano il testo. L'opera, tradotta in francese dalla moglie, Bella Chagall, apparve a Parigi nel 1931, presso la Librairie Stock con il titolo di "Ma vie", e venne ristampata nel 1957 con lievi modifiche e integrazioni dell'artista.
L’incontro è caratterizzato dalla visione di alcune opere di questo straordinario artista, che non possono che rispecchiare la sua lunga e molto amata vita, le sue emozioni, l’impronta del suo genio e delle sua origine russo-ebraica.
La crocifissione bianca, 1938
Pag.11 «La città bruciava, il quartiere dei poveri ebrei.»
Marc Chagall nasce a Vitebsk, oggi in Bielorussia, il 7 luglio 1887 sotto l’impero russo degli zar. Questa è un’opera altamente simbolica, esprime le sofferenze del popolo ebraico, allora perseguitato in tutta Europa. L’artista cerca dei punti di contatto con la religione Cristiana, infatti al centro del dipinto mette il Cristo crocifisso coperto dal tallit, scialle usato dagli uomini durante la preghiera ebraica. Per gli ebrei, Cristo non è figlio di Dio e non possono disegnare, dipingere figure sacre. Chagall sceglie Gesù come simbolo dell’innocente condannato in maniera ingiusta. L’opera va letta in senso circolare antiorario: riconosciamo i soldati russi artefici dei pogrom, le case rovesciate e in fiamme del popolo ebraico, una barca di ebrei profughi che cerca di ancorarsi per mettersi in salvo. Alla base del dipinto, un ebreo cerca di mettere in salvo la torah. Ai piedi del Cristo c’è un candelabro a sette braccia (Menorah), altro simbolo dell’ebraismo. Sulla destra è rappresentata una sinagoga in fiamme e un ebreo che cerca di salvare i testi sacri. L’ebreo errante è una figura a cui sarà sempre molto legato, come se volesse dargli rifugio nelle sue tele.
Autoritratto
illustrazione Chagall et l’ame juive
di René Schwob
Paris 1931
Pag. 54: «Lo specchio, appeso in libertà, solo e freddo, luccicava bizzarramente. Mi ci specchiavo di rado. Avevo paura d’esser sorpreso – nell’atto di ammirarmi.
Naso lungo dalle narici, ahimè! Larghe, zigomi taglienti, profilo rude.»
Pag. 43 «Non avete udito, a Vitebsk, la mia voce infantile?»
E’ il primo di nove fratelli, nasce in una famiglia poco abbiente, non conosce la fotografia. I suoi primi disegni sono quelli di sé stesso e dei suoi parenti. Si raffigurerà sempre sorridente, nonostante le difficoltà.
Chagall non aderisce all’ebraismo convenzionale, dogmatico, diventa pittore figurativo interpretando anche le storie della Bibbia nelle sue opere pittoriche. Si dedica al suo popolo aderendo al chassidismo, evitando i dogmi convenzionali, pensa che Dio sia ovunque.
Comincia la sua attività dipingendo le insegne dei negozi per i suoi parenti. Il nonno è macellaio ed è una figura che molto spesso lui rappresenta, assieme alle mucche che volano nel cielo. Un altro tema ricorrente sono i musici e il violino, strumento che Marc ha imparato a suonare e ad amare. In questa biografia, sottolinea più volte di quanto la sua famiglia sia stata importante per la sua arte, al contrario, la sua arte non è stata compresa e giudicata fondamentale per la sua famiglia. Questo figlio pittore nato in una famiglia umile, fu giudicato “strano” e poco “utile”. Racconta di come la madre lo relegasse sulla stufa a dipingere perché non sporcasse il pavimento appena lavato. Dava preoccupazione ai genitori che temevano per il futuro troppo incerto del figlio.
Casa a Lyozno (1914)
Pag.28 «Ho ancora uno zio, Zoussy; fa il parrucchiere, è l’unico a Lyozno……….Là era una stella. Stellata era anche la sua finestra, la porta della sua bottega. Al disopra, un’insegna turchina, che rappresentava un uomo avvolto in un panno bianco, con le guance insaponate, e un altro che lo sta rasando-assassinando»
Il Macellaio 1910
Pag.22 «Ma il macellaio, in bianco e nero, il coltello in mano, si rimbocca le maniche………E tu, vacchetta nuda e crocifissa nei cieli, tu sogni. Il coltello splendente t’ha fatto librare nell’aria.
Silenzio.»
Sulla città (1914-18)
Pag. 37 «E quel che c’era potete vederlo nel mio quadro Sopra la città. Oppure posso raccontarvelo. Una fila di gabinetti, di casette, di finestre, di porte carraie, di galline, una fabbrica chiusa, una chiesa, una collinetta (vecchio cimitero, dove non si seppellisce più nessuno)»
Raffigura i tetti di legno della sua città e gli amanti che si librano nel cielo. Sua moglie Bella sarà sempre il cardine della sua vita. Il loro amore li eleva ad una dimensione superiore.
Nel 1922 lascia la Russia per ritornarci soltanto nel 1973; verrà naturalizzato francese nel 1937. Sarà costretto a prendere una barca per l’America dove incontrerà un importantissimo mercante d’arte, Pierre Matisse, figlio del famoso pittore, che lo farà amare e collezionare in tutta l’America. Tornerà poi in Francia, quella che ha sempre considerato la sua seconda casa.
I musicanti (1911) Pag. 39 «Amo i musicanti di nozze, il suono delle loro polke e dei
loro valzer.»
Illustrazioni di Les sept péchés capitaux, 1926
Pag.55 «…..tutti i peccati mi ricadranno sulla testa»
Pag.46 «Io scappavo dalle sinagoghe correvo verso la cinta del giardino. Non appena montato lassù, coglievo una gran mela verde.
La mordevo, in quel giorno di digiuno. Solo il cielo azzurro mi guardava e, da quel grande peccatore che ero, assorbivo attraverso i denti tremanti il succo e il cuore della mela.»
Chagall non giudica mai! Non entra nel merito di ciò o di chi è migliore o peggiore. Si ritrae e si descrive nella sua biografia come un peccatore, una persona imperfetta con le sue debolezze.
1907-1910: STUDIA A SAN PIETROBURGO
Apparizione 1917
Pag.89 «Improvvisamente il soffitto si apre e una creatura alata scende tra i bagliori e tuoni, riempie la stanza di un turbine di nuvole. Un palpito d’ali che battono. Io penso: è un angelo! Ma non riesco ad aprire gli occhi, c’è troppo chiarore, troppa luce.
Dopo aver frugato dappertutto, si alza di nuovo in volo, ed esce dall’apertura nel soffitto, portandosi dietro tutta la luce e l’aria azzurra.
Cala di nuovo il buio. Mi sveglio.”
Nei suoi quadri troveremo sempre questa dimensione sospesa tipica del sogno.
Gli inizi sono stati davvero durissimi e ce li descrive: una volta arrivato a Parigi, Marc non può contare sul supporto economico della famiglia. Chagall si trasferisce presso “La Ruche”, l’alveare, un quartiere costruito con i pannelli derivati dalla demolizione dell’esposizione Universale di Parigi del 1900; qui si stabiliscono migliaia di aspiranti artisti del Novecento per respirare il fermento artistico che caratterizzò Parigi in quegli anni. Dipinge spesso e a volte in modo quasi ossessivo, il cibo, le grandi abbuffate e ci descrive nel libro della fame che ha patito in diversi momenti della sua vita.
Parigi alla finestra 1913
Pag.119 «Parigi, tu sei la mia seconda Vitebsk!»
Pag. 108 «Studio zeppo di quadri, di tele che non erano del resto tele, ma piuttosto le mie tovaglie, i miei lenzuoli, le mie camicie da notte fatte a pezzi.»
Pag. 109 «Prima di entrare nel mio atelier il visitatore doveva sempre aspettare. Era per darmi il tempo di mettermi in ordine, di vestirmi, perché lavoravo nudo.»
Incontra e s’innamora di Bella da ragazzino; lei è di qualche anno più giovane ed è un’ebrea russa che appartiene ad una famiglia borghese e colta, lavora in teatro, sa il francese ed è proprio lei che traduce in francese questa biografia che Marc scrive da principio in lingua russa. Si ameranno molto e per lungo tempo. Descrive l’incontro e il rapporto con la moglie in modo molto dolce e delicato: è un vero e proprio incontro di anime. Descrive l’amore come un “volo”, altro tema ricorrente nelle sue opere pittoriche: quando Chagall ama, le cose si elevano.
Pag 125 «Io aprivo soltanto la finestra della stanza e l’aria azzurra, l’amore e i fiori entravano con lei. Tutta vestita di bianco o tutta in nero lei vola da molto tempo attraverso le mie tele, guidando la mia arte. Non finisco un quadro o un’incisione senza chiederle il suo «sì» o «no».»
Nel 1920 in Russia, a Mosca, viene offerto a Chagall la possibilità di sperimentare il linguaggio teatrale; gli viene dato il compito di rifondare il teatro ebraico in una casa requisita durante la rivoluzione di ottobre ad un ebreo. Dipinge tutti i muri, il soffitto, rifonda la cultura: tutto è cambiato dopo la Rivoluzione di ottobre.
Pag 164: «Esasperato, mi sono gettato con accanimento sul soffitto e sui muri del Teatro di Mosca. Là sospira nell’oscurità la mia pittura murale. L’avete vista? Schiumate pure, contemporanei! In un modo o nell’altro, il mio primo alfabeto teatrale ha rimpinzato le vostre viscere. Non sono modesto? Cederò la modestia a mia nonna; mi annoia. Disprezzatemi, se vi pare.»
Pag. 169: «Ho fatto una pittura per il muro principale: l’Introduzione al nuovo teatro nazionale. Gli altri muri di tramezzo, il soffitto e i fregi rappresentavano gli antenati dell’attore contemporaneo – un musicante, un buffone che rallegrava gli sponsali, una donna che danza, un copista della Torah, il primo poeta sognatore, e infine una coppia moderna volteggiante sulla scena. Piatti e cibi mandorlati e frutta, sparsi sulle tavole coperte, ornavano i fregi.”
Rappresenta tutte le arti:
la musica, con il violinista e il colore verde, tinta che rappresenta per lui la musica, l’elevazione spirituale e del sogno, il teatro, la danza, la letteratura, scriba che lavora sul testo sacro della torah.
Il testo di questo libro è scritto in maniera molto leggera e semplice, si percepisce lo spirito “trasognante” dell’artista, la sua positività e la voglia di vivere, nonostante le difficoltà del suo vissuto: l’autore è stato testimone della rivoluzione russa e di entrambe le guerre mondiali, l’ultima della quali ha visto lo sterminio del suo amato popolo.
Tuttavia siamo tutti d’accordo nel fatto di non trovarci di fronte ad un’opera letteraria che può dirsi allo stesso livello di quella artistica pittorica. Ci sono molti salti temporali, omissioni di nomi e alcune spiegazioni insufficienti che rendono la narrazione davvero di difficile comprensione, non lineare e quindi poco godibile. Purtroppo si perde facilmente il filo del discorso.
In ogni caso è stata una lettura interessante per approfondire una grande personalità del Novecento.
20 settembre 2020
TITOLO: “La mia vita” di Marc Chagall
Libro proposto da Laura Rizzi
Presenti all’incontro: Anna, Valentina, Giulia, Giorgio, Francesca
Marc Chagall (1887-1985) scrisse "La mia vita" in lingua russa tra il 1921 e il 1922, poco prima di lasciare definitivamente Mosca dopo l'esperienza esaltante e dolorosa della Rivoluzione, e nello stesso periodo compose i disegni che accompagnano il testo. L'opera, tradotta in francese dalla moglie, Bella Chagall, apparve a Parigi nel 1931, presso la Librairie Stock con il titolo di "Ma vie", e venne ristampata nel 1957 con lievi modifiche e integrazioni dell'artista.
L’incontro è caratterizzato dalla visione di alcune opere di questo straordinario artista, che non possono che rispecchiare la sua lunga e molto amata vita, le sue emozioni, l’impronta del suo genio e delle sua origine russo-ebraica.
La crocifissione bianca, 1938
Pag.11 «La città bruciava, il quartiere dei poveri ebrei.»
Marc Chagall nasce a Vitebsk, oggi in Bielorussia, il 7 luglio 1887 sotto l’impero russo degli zar. Questa è un’opera altamente simbolica, esprime le sofferenze del popolo ebraico, allora perseguitato in tutta Europa. L’artista cerca dei punti di contatto con la religione Cristiana, infatti al centro del dipinto mette il Cristo crocifisso coperto dal tallit, scialle usato dagli uomini durante la preghiera ebraica. Per gli ebrei, Cristo non è figlio di Dio e non possono disegnare, dipingere figure sacre. Chagall sceglie Gesù come simbolo dell’innocente condannato in maniera ingiusta. L’opera va letta in senso circolare antiorario: riconosciamo i soldati russi artefici dei pogrom, le case rovesciate e in fiamme del popolo ebraico, una barca di ebrei profughi che cerca di ancorarsi per mettersi in salvo. Alla base del dipinto, un ebreo cerca di mettere in salvo la torah. Ai piedi del Cristo c’è un candelabro a sette braccia (Menorah), altro simbolo dell’ebraismo. Sulla destra è rappresentata una sinagoga in fiamme e un ebreo che cerca di salvare i testi sacri. L’ebreo errante è una figura a cui sarà sempre molto legato, come se volesse dargli rifugio nelle sue tele.
Autoritratto
illustrazione Chagall et l’ame juive
di René Schwob
Paris 1931
Pag. 54: «Lo specchio, appeso in libertà, solo e freddo, luccicava bizzarramente. Mi ci specchiavo di rado. Avevo paura d’esser sorpreso – nell’atto di ammirarmi.
Naso lungo dalle narici, ahimè! Larghe, zigomi taglienti, profilo rude.»
Pag. 43 «Non avete udito, a Vitebsk, la mia voce infantile?»
E’ il primo di nove fratelli, nasce in una famiglia poco abbiente, non conosce la fotografia. I suoi primi disegni sono quelli di sé stesso e dei suoi parenti. Si raffigurerà sempre sorridente, nonostante le difficoltà.
Chagall non aderisce all’ebraismo convenzionale, dogmatico, diventa pittore figurativo interpretando anche le storie della Bibbia nelle sue opere pittoriche. Si dedica al suo popolo aderendo al chassidismo, evitando i dogmi convenzionali, pensa che Dio sia ovunque.
Comincia la sua attività dipingendo le insegne dei negozi per i suoi parenti. Il nonno è macellaio ed è una figura che molto spesso lui rappresenta, assieme alle mucche che volano nel cielo. Un altro tema ricorrente sono i musici e il violino, strumento che Marc ha imparato a suonare e ad amare. In questa biografia, sottolinea più volte di quanto la sua famiglia sia stata importante per la sua arte, al contrario, la sua arte non è stata compresa e giudicata fondamentale per la sua famiglia. Questo figlio pittore nato in una famiglia umile, fu giudicato “strano” e poco “utile”. Racconta di come la madre lo relegasse sulla stufa a dipingere perché non sporcasse il pavimento appena lavato. Dava preoccupazione ai genitori che temevano per il futuro troppo incerto del figlio.
Casa a Lyozno (1914)
Pag.28 «Ho ancora uno zio, Zoussy; fa il parrucchiere, è l’unico a Lyozno……….Là era una stella. Stellata era anche la sua finestra, la porta della sua bottega. Al disopra, un’insegna turchina, che rappresentava un uomo avvolto in un panno bianco, con le guance insaponate, e un altro che lo sta rasando-assassinando»
Il Macellaio 1910
Pag.22 «Ma il macellaio, in bianco e nero, il coltello in mano, si rimbocca le maniche………E tu, vacchetta nuda e crocifissa nei cieli, tu sogni. Il coltello splendente t’ha fatto librare nell’aria.
Silenzio.»
Sulla città (1914-18)
Pag. 37 «E quel che c’era potete vederlo nel mio quadro Sopra la città. Oppure posso raccontarvelo. Una fila di gabinetti, di casette, di finestre, di porte carraie, di galline, una fabbrica chiusa, una chiesa, una collinetta (vecchio cimitero, dove non si seppellisce più nessuno)»
Raffigura i tetti di legno della sua città e gli amanti che si librano nel cielo. Sua moglie Bella sarà sempre il cardine della sua vita. Il loro amore li eleva ad una dimensione superiore.
Nel 1922 lascia la Russia per ritornarci soltanto nel 1973; verrà naturalizzato francese nel 1937. Sarà costretto a prendere una barca per l’America dove incontrerà un importantissimo mercante d’arte, Pierre Matisse, figlio del famoso pittore, che lo farà amare e collezionare in tutta l’America. Tornerà poi in Francia, quella che ha sempre considerato la sua seconda casa.
I musicanti (1911) Pag. 39 «Amo i musicanti di nozze, il suono delle loro polke e dei
loro valzer.»
Illustrazioni di Les sept péchés capitaux, 1926
Pag.55 «…..tutti i peccati mi ricadranno sulla testa»
Pag.46 «Io scappavo dalle sinagoghe correvo verso la cinta del giardino. Non appena montato lassù, coglievo una gran mela verde.
La mordevo, in quel giorno di digiuno. Solo il cielo azzurro mi guardava e, da quel grande peccatore che ero, assorbivo attraverso i denti tremanti il succo e il cuore della mela.»
Chagall non giudica mai! Non entra nel merito di ciò o di chi è migliore o peggiore. Si ritrae e si descrive nella sua biografia come un peccatore, una persona imperfetta con le sue debolezze.
1907-1910: STUDIA A SAN PIETROBURGO
Apparizione 1917
Pag.89 «Improvvisamente il soffitto si apre e una creatura alata scende tra i bagliori e tuoni, riempie la stanza di un turbine di nuvole. Un palpito d’ali che battono. Io penso: è un angelo! Ma non riesco ad aprire gli occhi, c’è troppo chiarore, troppa luce.
Dopo aver frugato dappertutto, si alza di nuovo in volo, ed esce dall’apertura nel soffitto, portandosi dietro tutta la luce e l’aria azzurra.
Cala di nuovo il buio. Mi sveglio.”
Nei suoi quadri troveremo sempre questa dimensione sospesa tipica del sogno.
Gli inizi sono stati davvero durissimi e ce li descrive: una volta arrivato a Parigi, Marc non può contare sul supporto economico della famiglia. Chagall si trasferisce presso “La Ruche”, l’alveare, un quartiere costruito con i pannelli derivati dalla demolizione dell’esposizione Universale di Parigi del 1900; qui si stabiliscono migliaia di aspiranti artisti del Novecento per respirare il fermento artistico che caratterizzò Parigi in quegli anni. Dipinge spesso e a volte in modo quasi ossessivo, il cibo, le grandi abbuffate e ci descrive nel libro della fame che ha patito in diversi momenti della sua vita.
Parigi alla finestra 1913
Pag.119 «Parigi, tu sei la mia seconda Vitebsk!»
Pag. 108 «Studio zeppo di quadri, di tele che non erano del resto tele, ma piuttosto le mie tovaglie, i miei lenzuoli, le mie camicie da notte fatte a pezzi.»
Pag. 109 «Prima di entrare nel mio atelier il visitatore doveva sempre aspettare. Era per darmi il tempo di mettermi in ordine, di vestirmi, perché lavoravo nudo.»
Incontra e s’innamora di Bella da ragazzino; lei è di qualche anno più giovane ed è un’ebrea russa che appartiene ad una famiglia borghese e colta, lavora in teatro, sa il francese ed è proprio lei che traduce in francese questa biografia che Marc scrive da principio in lingua russa. Si ameranno molto e per lungo tempo. Descrive l’incontro e il rapporto con la moglie in modo molto dolce e delicato: è un vero e proprio incontro di anime. Descrive l’amore come un “volo”, altro tema ricorrente nelle sue opere pittoriche: quando Chagall ama, le cose si elevano.
Pag 125 «Io aprivo soltanto la finestra della stanza e l’aria azzurra, l’amore e i fiori entravano con lei. Tutta vestita di bianco o tutta in nero lei vola da molto tempo attraverso le mie tele, guidando la mia arte. Non finisco un quadro o un’incisione senza chiederle il suo «sì» o «no».»
Nel 1920 in Russia, a Mosca, viene offerto a Chagall la possibilità di sperimentare il linguaggio teatrale; gli viene dato il compito di rifondare il teatro ebraico in una casa requisita durante la rivoluzione di ottobre ad un ebreo. Dipinge tutti i muri, il soffitto, rifonda la cultura: tutto è cambiato dopo la Rivoluzione di ottobre.
Pag 164: «Esasperato, mi sono gettato con accanimento sul soffitto e sui muri del Teatro di Mosca. Là sospira nell’oscurità la mia pittura murale. L’avete vista? Schiumate pure, contemporanei! In un modo o nell’altro, il mio primo alfabeto teatrale ha rimpinzato le vostre viscere. Non sono modesto? Cederò la modestia a mia nonna; mi annoia. Disprezzatemi, se vi pare.»
Pag. 169: «Ho fatto una pittura per il muro principale: l’Introduzione al nuovo teatro nazionale. Gli altri muri di tramezzo, il soffitto e i fregi rappresentavano gli antenati dell’attore contemporaneo – un musicante, un buffone che rallegrava gli sponsali, una donna che danza, un copista della Torah, il primo poeta sognatore, e infine una coppia moderna volteggiante sulla scena. Piatti e cibi mandorlati e frutta, sparsi sulle tavole coperte, ornavano i fregi.”
Rappresenta tutte le arti:
la musica, con il violinista e il colore verde, tinta che rappresenta per lui la musica, l’elevazione spirituale e del sogno, il teatro, la danza, la letteratura, scriba che lavora sul testo sacro della torah.
Il testo di questo libro è scritto in maniera molto leggera e semplice, si percepisce lo spirito “trasognante” dell’artista, la sua positività e la voglia di vivere, nonostante le difficoltà del suo vissuto: l’autore è stato testimone della rivoluzione russa e di entrambe le guerre mondiali, l’ultima della quali ha visto lo sterminio del suo amato popolo.
Tuttavia siamo tutti d’accordo nel fatto di non trovarci di fronte ad un’opera letteraria che può dirsi allo stesso livello di quella artistica pittorica. Ci sono molti salti temporali, omissioni di nomi e alcune spiegazioni insufficienti che rendono la narrazione davvero di difficile comprensione, non lineare e quindi poco godibile. Purtroppo si perde facilmente il filo del discorso.
In ogni caso è stata una lettura interessante per approfondire una grande personalità del Novecento.
Re: VERBALI degli Incontri
Verbale redatto da Laura Rizzi
Cesta, 25 settembre 2021
Quarantaduesimo incontro
“UOMINI E TOPI” Di John Steinbeck
Francesca ha proposto la lettura e modera la discussione.
Partecipanti al circolo presenti: Cecilia, Valentina, Giulia, Anna, Giorgio, Silvia, Elena, Laura.
Francesca spiega che il TITOLO del libro riprende i versi di Robert Burns, poeta scozzese, A un topo buttandogli all’aria il nido con l’aratro (1785), v.39.
(EN)
«The best-laid schemes of mice and men»
(IT)
«I migliori progetti di topi e uomini»
Alla fine i progetti di uomini e topi hanno un triste epilogo. Cecilia fa notare come questa idea sia ben espressa dal detto popolare “fare la fine del topo”.
La vicenda si svolge in California durante gli anni Trenta del Novecento. I due protagonisti sono George Milton e Lennie Small, braccianti stagionali che si guadagnano da vivere vagando per il paese di fattoria in fattoria.
Francesca evidenzia le TEMATICHE
• DISCRIMINAZIONE
- Verso Lennie, affetto da disturbo mentale
- Pregiudizio razziale subito dallo stalliere di colore, costretto ad una crudele alienazione
- Maschilismo, misoginia. La moglie di Curley viene riconosciuta solo in relazione al marito e non viene mai menzionato il suo nome. C'è una critica verso la perversa sensualità della donna, satanica tentatrice.
• AMORE FRATERNO espresso dal rapporto tra George Milton, bracciante scaltro e acuto di mente e Lennie Small, operaio straordinario per la sua stazza e forza fisica, ma affetto da ritardo mentale. Lennie trova in George il suo punto di riferimento; tra loro s’instaura un vero e proprio legame fraterno. George, pur lamentandosi dei guai che gli procura Lennie, è convinto che affrontare le difficoltà della vita insieme ad un amico sia meno dura che doversele sobbarcare in solitudine.
• LIBERTA’ che però si rivela un’ILLUSIONE. I due protagonisti condividono il sogno di comprarsi, un giorno, un piccolo pezzo di terra dove condurre una vita finalmente serena, lontana dalle umiliazioni del lavoro del bracciante. Questo progetto è l’illusione che permette loro di sopportare la durezza della realtà quotidiana.
• DICOTOMIA TRA RICCHI (proprietari terrieri) e POVERI (braccianti agricoli che vivono alla giornata)
Silvia e Anna non vedono la discriminazione del ritardo mentale, anzi, hanno notato che gli altri braccianti apprezzano molto il fatto che Lennie sia un gran lavoratore. Quando Lennie per difendersi si scontra con Curley, gli altri cercano di coprirlo e lo difendono nonostante Curley sia il figlio del padrone. Secondo Anna, il ritardo mentale non è considerato come un “handicap”, ma dà a George la possibilità di occuparsi di qualcuno e ciò lo rende una persona migliore. Più persone si univano al loro sogno e più questo diventava bello e sembrava possibile.
Giorgio considera il ritardo mentale di Lennie come il cardine della storia perché è l’elemento particolare; Lennie si comporta in maniera diversa dagli altri e questo porta a delle conseguenze.
Silvia non vede nel narratore la volontà di discriminare e di rendere antipatica al lettore la moglie di Curley. La donna è una vittima perché viene isolata e ghettizzata dagli altri personaggi che la reputano, senza alcun motivo reale, infedele e non leale al marito, il quale non dimostra alcun affetto per lei. Si sente sola e cerca di interagire con i braccianti, uniche persone che ha intorno, perché sente il bisogno come gli altri, di esprimere le sue idee e di instaurare relazioni umane. Per questo sarà brutalmente uccisa.
A parere di Francesca il maschilismo dell’autore è chiaro. Il personaggio della moglie di Curley le ricorda Cathy ne “La Valle dell’Eden”, definita “mostro”, seppur bellissima; satanica e perversa fin da piccola, brucia la casa ai genitori, uccidendoli; rovinerà la vita al marito sparendo da casa e diventando una prostituta. Per Steinbeck la donna è una perversa tentatrice oppure è una brava donna se si dedica in casa ad allevare i figli e lavora duramente: non vi sono alternative. Francesca riporta il collegamento con la Bibbia intravisto da alcuni critici che hanno paragonato Lennie ad Adamo e la donna di Curley a Eva. Nel finale del romanzo, Lennie si trova nella stalla ad accarezzare (e ad uccidere) dei cagnolini di pochi giorni, quando gli si avvicina la moglie di Curley che lo invita ad accarezzarle i capelli; Lennie con i suoi modi inconsapevolmente rudi, finisce per spaventare la ragazza, che inizia a strillare. A questo punto, Lennie comincia a strattonare la ragazza per farla smettere, finendo per ucciderla.
Giorgio ha percepito da parte dell’autore, una critica alla discriminazione dilagante nella società del suo tempo.
Valentina è stata colpita dalla VIOLENZA sugli animali che ha contraddistinto diversi tratti della storia ed evidenzia un parallelismo tra l’uccisione del vecchio cane di Candy per mano di Carlson, con l’uccisione di Lennie da parte di George. Giulia sottolinea la DIGNITA’ dei braccianti: uccidere il cane e Lennie mette fine alle loro pene, sono atti di pieta’.
Cecilia ha pensato che alla fine George avrebbe potuto realizzare il sogno di una vita migliore anche senza Lennie, ma con Candy. Laura e Giorgio sono invece concordi nel ritenere che George, uccidendo Lennie, abbia soppresso la parte migliore di lui e sia la rinuncia definitiva alle illusioni.
Giorgio fa un’interessante osservazione mettendo a confronto le due diverse traduzioni dell’opera: quella del 1938 a cura di Cesare Pavese, con quella più moderna di Nicola Mari del 2016. Cesare Pavese traduce per immagini, cerca di rendere le emozioni, mentre la traduzione moderna è più letterale.
Giulia fa notare che l’opera è stata scritta per il teatro: questo spiega la struttura del testo che vede la descrizione delle scene (sono tutto sommato poche ambientazioni) seguite dai dialoghi dei personaggi.
Anna definisce questo libro sensoriale perché è riuscita a percepire gli odori, i profumi, la morbidezza al tatto del velluto del vestito, del manto dei cagnolini e dei capelli della donna. Si possono ben immaginare i colori vividi del paesaggio, i suoni, le voci. Ad Anna la scrittura scorrevole, ma “forte” è piaciuta molto, nonostante i temi trattati non siano tra i suoi preferiti.
Giorgio ha trovato il libro e la traduzione di Cesare Pavese “tosta”, densa di emozione.
Laura ha apprezzato la significativa struttura ciclica della storia: comincia nel bosco, luogo idilliaco dove i protagonisti progettano il loro sogno, si sviluppa al buio della baracca e della stalla, per terminare con il ritorno nel bosco, questa volta luogo della disillusione e teatro di un triste finale.
Giulia e Valentina sono riuscite ad immergersi completamente nella storia.
Elena ha apprezzato la scrittura semplice e piacevole da leggere.
A Cecilia è piaciuto perché veloce e poco pesante.
Silvia definisce la storia coinvolgente e commovente.
Francesca ama profondamente la scrittura di questo autore premio Nobel.
Anna sceglie il titolo del prossimo incontro: “Orizzonte perduto” di James Hilton.
Cesta, 25 settembre 2021
Quarantaduesimo incontro
“UOMINI E TOPI” Di John Steinbeck
Francesca ha proposto la lettura e modera la discussione.
Partecipanti al circolo presenti: Cecilia, Valentina, Giulia, Anna, Giorgio, Silvia, Elena, Laura.
Francesca spiega che il TITOLO del libro riprende i versi di Robert Burns, poeta scozzese, A un topo buttandogli all’aria il nido con l’aratro (1785), v.39.
(EN)
«The best-laid schemes of mice and men»
(IT)
«I migliori progetti di topi e uomini»
Alla fine i progetti di uomini e topi hanno un triste epilogo. Cecilia fa notare come questa idea sia ben espressa dal detto popolare “fare la fine del topo”.
La vicenda si svolge in California durante gli anni Trenta del Novecento. I due protagonisti sono George Milton e Lennie Small, braccianti stagionali che si guadagnano da vivere vagando per il paese di fattoria in fattoria.
Francesca evidenzia le TEMATICHE
• DISCRIMINAZIONE
- Verso Lennie, affetto da disturbo mentale
- Pregiudizio razziale subito dallo stalliere di colore, costretto ad una crudele alienazione
- Maschilismo, misoginia. La moglie di Curley viene riconosciuta solo in relazione al marito e non viene mai menzionato il suo nome. C'è una critica verso la perversa sensualità della donna, satanica tentatrice.
• AMORE FRATERNO espresso dal rapporto tra George Milton, bracciante scaltro e acuto di mente e Lennie Small, operaio straordinario per la sua stazza e forza fisica, ma affetto da ritardo mentale. Lennie trova in George il suo punto di riferimento; tra loro s’instaura un vero e proprio legame fraterno. George, pur lamentandosi dei guai che gli procura Lennie, è convinto che affrontare le difficoltà della vita insieme ad un amico sia meno dura che doversele sobbarcare in solitudine.
• LIBERTA’ che però si rivela un’ILLUSIONE. I due protagonisti condividono il sogno di comprarsi, un giorno, un piccolo pezzo di terra dove condurre una vita finalmente serena, lontana dalle umiliazioni del lavoro del bracciante. Questo progetto è l’illusione che permette loro di sopportare la durezza della realtà quotidiana.
• DICOTOMIA TRA RICCHI (proprietari terrieri) e POVERI (braccianti agricoli che vivono alla giornata)
Silvia e Anna non vedono la discriminazione del ritardo mentale, anzi, hanno notato che gli altri braccianti apprezzano molto il fatto che Lennie sia un gran lavoratore. Quando Lennie per difendersi si scontra con Curley, gli altri cercano di coprirlo e lo difendono nonostante Curley sia il figlio del padrone. Secondo Anna, il ritardo mentale non è considerato come un “handicap”, ma dà a George la possibilità di occuparsi di qualcuno e ciò lo rende una persona migliore. Più persone si univano al loro sogno e più questo diventava bello e sembrava possibile.
Giorgio considera il ritardo mentale di Lennie come il cardine della storia perché è l’elemento particolare; Lennie si comporta in maniera diversa dagli altri e questo porta a delle conseguenze.
Silvia non vede nel narratore la volontà di discriminare e di rendere antipatica al lettore la moglie di Curley. La donna è una vittima perché viene isolata e ghettizzata dagli altri personaggi che la reputano, senza alcun motivo reale, infedele e non leale al marito, il quale non dimostra alcun affetto per lei. Si sente sola e cerca di interagire con i braccianti, uniche persone che ha intorno, perché sente il bisogno come gli altri, di esprimere le sue idee e di instaurare relazioni umane. Per questo sarà brutalmente uccisa.
A parere di Francesca il maschilismo dell’autore è chiaro. Il personaggio della moglie di Curley le ricorda Cathy ne “La Valle dell’Eden”, definita “mostro”, seppur bellissima; satanica e perversa fin da piccola, brucia la casa ai genitori, uccidendoli; rovinerà la vita al marito sparendo da casa e diventando una prostituta. Per Steinbeck la donna è una perversa tentatrice oppure è una brava donna se si dedica in casa ad allevare i figli e lavora duramente: non vi sono alternative. Francesca riporta il collegamento con la Bibbia intravisto da alcuni critici che hanno paragonato Lennie ad Adamo e la donna di Curley a Eva. Nel finale del romanzo, Lennie si trova nella stalla ad accarezzare (e ad uccidere) dei cagnolini di pochi giorni, quando gli si avvicina la moglie di Curley che lo invita ad accarezzarle i capelli; Lennie con i suoi modi inconsapevolmente rudi, finisce per spaventare la ragazza, che inizia a strillare. A questo punto, Lennie comincia a strattonare la ragazza per farla smettere, finendo per ucciderla.
Giorgio ha percepito da parte dell’autore, una critica alla discriminazione dilagante nella società del suo tempo.
Valentina è stata colpita dalla VIOLENZA sugli animali che ha contraddistinto diversi tratti della storia ed evidenzia un parallelismo tra l’uccisione del vecchio cane di Candy per mano di Carlson, con l’uccisione di Lennie da parte di George. Giulia sottolinea la DIGNITA’ dei braccianti: uccidere il cane e Lennie mette fine alle loro pene, sono atti di pieta’.
Cecilia ha pensato che alla fine George avrebbe potuto realizzare il sogno di una vita migliore anche senza Lennie, ma con Candy. Laura e Giorgio sono invece concordi nel ritenere che George, uccidendo Lennie, abbia soppresso la parte migliore di lui e sia la rinuncia definitiva alle illusioni.
Giorgio fa un’interessante osservazione mettendo a confronto le due diverse traduzioni dell’opera: quella del 1938 a cura di Cesare Pavese, con quella più moderna di Nicola Mari del 2016. Cesare Pavese traduce per immagini, cerca di rendere le emozioni, mentre la traduzione moderna è più letterale.
Giulia fa notare che l’opera è stata scritta per il teatro: questo spiega la struttura del testo che vede la descrizione delle scene (sono tutto sommato poche ambientazioni) seguite dai dialoghi dei personaggi.
Anna definisce questo libro sensoriale perché è riuscita a percepire gli odori, i profumi, la morbidezza al tatto del velluto del vestito, del manto dei cagnolini e dei capelli della donna. Si possono ben immaginare i colori vividi del paesaggio, i suoni, le voci. Ad Anna la scrittura scorrevole, ma “forte” è piaciuta molto, nonostante i temi trattati non siano tra i suoi preferiti.
Giorgio ha trovato il libro e la traduzione di Cesare Pavese “tosta”, densa di emozione.
Laura ha apprezzato la significativa struttura ciclica della storia: comincia nel bosco, luogo idilliaco dove i protagonisti progettano il loro sogno, si sviluppa al buio della baracca e della stalla, per terminare con il ritorno nel bosco, questa volta luogo della disillusione e teatro di un triste finale.
Giulia e Valentina sono riuscite ad immergersi completamente nella storia.
Elena ha apprezzato la scrittura semplice e piacevole da leggere.
A Cecilia è piaciuto perché veloce e poco pesante.
Silvia definisce la storia coinvolgente e commovente.
Francesca ama profondamente la scrittura di questo autore premio Nobel.
Anna sceglie il titolo del prossimo incontro: “Orizzonte perduto” di James Hilton.
Re: VERBALI degli Incontri
Verbale redatto da Anna
Ferrara, 30 aprile 2022
Quarantatreesimo incontro e 15° anniversario di Bibliotè!
“Orizzonte perduto” di James Hilton
Partecipanti all’incontro: Francesca, Giulia, Valentina, Laura R., Anna, Elena (libro letto all’82%).
Orizzonte Perduto è il primo romanzo di successo di James Hilton, pubblicato nel 1935. È caratterizzato dal topos letterario del racconto nel racconto: il libro si apre in Inghilterra, una cena tra vecchi amici del college che, dopo i consueti aggiornamenti sulle loro vite, ricordano Conway il ragazzo che all’epoca degli studi si mostrava essere come il più in gamba e interessante della scuola (intraprendente e dotato di grande personalità). Rutherford, scrittore e avventuriero, lo ha ritrovato per caso durante uno dei suoi viaggi e ha riportato in un manoscritto il racconto fatto da Conway. È leggendo il manoscritto che il narratore viene a conoscenza delle avventure di Conway e le racconta al lettore.
Il meta-racconto si apre il giorno 20 maggio 1931 a Baskul (India), dove i diplomatici inglesi e altre persone vengono fatte fuggire dalla città sotto assedio. In un aereo pilotato da un esperto aviatore inglese vengono caricate quattro persone: Miss Roberta Brinklow della Missione Orientale, Henry D. Barnard cittadino degli Stati Uniti, Hugh Conway console della Sua Maestà Britannica e il giovane capitano Charles Mallinson vice-console di S.M. Britannica. Il volo è diretto a Peshawar, ma viene misteriosamente dirottato verso le montagne più impervie del Tibet. Sorpreso da una burrasca, l’aereo atterra malamente in mezzo alle montagne: i quattro passeggeri rimangono illesi, mentre il pilota è gravemente ferito. Osservando i tratti somatici di origine mongolica, i due inglesi si accorgono che non è il pilota inglese che si aspettavano; prima di morire riuscirà a dire a Conway che si trovano in un altipiano del Tibet, vicino a un monastero buddista chiamato Shangri-La. Poco dopo i superstiti vengono raggiunti da un gruppo di persone il cui capo cinese, finemente abbigliato con ottima conoscenza della lingua inglese, offre un rifugio sicuro proprio nel vicino monastero di Shangri-La. Il monastero si trova in una valle rigogliosa, circondata da vette aspre, fredde e minacciose: la valle della Luna Azzurra. La prima impressione che il monastero suscita è un senso di quiete e protezione, dove la vita scorre lenta e pacata. Gli abitanti del monastero sono tutti studiosi, persone che eccellono in qualcosa di particolare (la musica, la letteratura, la ricerca, …), vige la regola della moderazione – virtus in medio stat - nella quotidianità, tra le persone, nelle attività. La moderazione porta all’equilibrio, e tramite l’annullamento delle passioni i monaci riescono letteralmente a fermare il tempo. Tra gli abitanti si trovano infatti persone ultracentenarie, ma senza vederne i segni sul corpo: Lo-Tsen la giovane Manciù, arrivata al monastero nel 1844, quando aveva 18 anni, durante in viaggio verso il suo sposo; Briac, un allievo di Chopin; un curato inglese che nel 1840 conobbe la famiglia Broente.
L’unico modo di andarsene da Shangri-La è sfruttare i portatori che periodicamente riforniscono di provviste e beni il monastero. In questa situazione di isolamento e staticità del tempo, che sembra diventare infinito, affiorano le debolezze e le virtù umane dei quattro protagonisti. Emerge una forte contrapposizione tra il temperamento di Conway e Mallinson: il primo rimane affascinato dalla vita nel monastero, il secondo ne è molto infastidito e vuole ritornare a Londra a tutti i costi e il più presto possibile. La signora Brinklow e il signor Barnard, vedono invece delle opportunità anche nella nuova condizione e ognuno nel suo campo inizia ad adoperarsi: lei nell’imparare il tibetano per fondare una nuova missione, lui per sfruttare l’oro e i minerali di cui la valle è ricca.
Conway viene totalmente rapito dall’atmosfera del monastero e presto avrà l’onore di incontrare il Gran Lama, colui che ha fondato la comunità di Shangri-La nel 1734 quando aveva 53 anni. L’ultracentenario Gran Lama è dedito ormai alla sola meditazione e alla conservazione del suo copro in un ambiante caldo, umido e buio. Conway si intratterrà con lui in lunghe conversazioni fino al momento in cui il Gran Lama si spegnerà, appena dopo avergli comunicato la volontà che Conway sia il suo successore. Nello stesso momento, il giovane concitato Mallinson ha organizzato la fuga tramite una carovana di portatori e la giovane manciù Lo-Tsen si trova già al punto d’incontro per scappare con lui. Cerca di convincere Conway, che resiste raccontando anche la conversazione avuta on il Gran Lama morente; Mallinson non gli crede, vi è un accesa discussione tra i due, Mallinson parte e Conway rimane. Poco dopo Mallinson ritorna poiché, inesperto e impaurito, non è riuscito a superare un difficile passaggio tra le montagne: qui emerge lo spirito risoluto e generoso di Conway, che quindi lo accompagna nella fuga sopprimendo la sua stessa volontà di rimanere a Shangri-La.
Qui il racconto dell’avventura di Conway si interrompe, Rutherford in persona ha fatto ulteriori ricerche sulle tracce di Conway e il narratore le racconta sotto forma di dialogo tra lui e Rutherford. Le uniche certezze che si hanno è che di Mallison non si sono più avute notizie; il 5 ottobre 1931 Conway è arrivato a Chung-Kiang (Cina) e il 3 febbraio è ripartito per Bangkok. All’ospedale di Chung-Kiang Ruterford scopre, da un medico in servizio al tempo, che Conway è arrivato ferito e accompagnato da una donna molto anziana, la più anziana donna che il medico abbia mai visto…
Il finale del racconto resta sospeso, rimane il dubbio che Conway si tornato a Shangri-La e che la stessa Shangri-La esista. Che sia solo un sogno??
Il romanzo di Hilton ebbe molto successo e cominciò a creare una sorta di mito della saggezza e della tranquillità che si raggiunge dominando le passioni, sia nell’Occidente scosso tra le due guerre sia in Oriente. Nel 1937 Frank Capra fece un film molto fedele alle avventure di Conway, nel 1975 i Led Zeppelin pubblicarono il brano Kashmir ispirato al mito di Shangri-La, nel 2004 uscì l’album Shangri-La di Marc Knopfler. Ma il successo dell'idea di Shangri-La si diffonde ben oltre le arti, tanto che dal 1949 la Cina occupa l’altipiano del Tibet dove si presume ubicato il monastero del romanzo, e, nel 2002 a mezzo di decreto di Pechino, tre province dello Yunnan vengono rinominate Shangri-La. Ancora, nel 1971 a Hong Kong viene fondata la catena di hotel a cinque stelle Shangri-La, il cui nome si ispira proprio al luogo immaginario di Hilton.
Le tematiche del libro sono romantiche per i moltissimi riferimenti alla Natura che sovrasta l’uomo: le montagne gigantesche e impervie, che inquietano sia a guardarle (Conway durante la notte) sia ad attraversarle (Mallinson durante la fuga, gli esploratori durante le spedizioni, lo stesso Rutherford che non ha potuto nemmeno avvicinarsi al Tibet per le sue ricerche). Il vento è gelido, l’aria tagliente e affilata è spesso richiamata anche dai colori con cui si descrivono scena e paesaggio (il bianco della neve e della luna, l’azzurro della luna e dell’abito di Cheng), dando un senso di congelamento che ferma il tempo (tema incontrato dai lettori di Bibliotè anche nel libro Ubik). In contrasto, il riscaldamento è necessario alla conservazione del Gran Lama negli ultimi anni della sua vita ultracentenaria. Si ritrova il riferimento alla fonte della vita e della giovinezza, un topos letterario delle fiabe dell’800.
Vi è sia il senso di isolamento geografico del monastero, sia l’isolamento tra le persone e delle persone con il resto del mondo, che avviene con il distacco dalle pulsioni e dalla quotidianità della propria vita precedente l'arrivo a Shangri-La. Il distacco dal tempo e dalla frenesia del mondo circostante porta alla consapevolezza che si avrà il tempo di fare le cose, senza fretta né ansia. La pace, la lentezza, la pacatezza sono associate allo studio, all’arte e alla meditazione come via verso la saggezza.
Se per parte dei lettori (Laura, Valentina, Anna) questo stato di moderazione e pacatezza risulta piacevole per il senso di pace e di fuga dal mondo frenetico, per altri (Giulia, Francesca) crea una sensazione di immobilità fastidiosa, di pigrizia e inettitudine troppo avulsa dal mondo occidentale e moderno. Si può dire che le posizioni opposte di Conway e Mallinson si rispecchino anche nei lettori!
Le tematiche vengono percepite come molto attuali e si nota una somiglianza con la serie Nine Perfect Strangers, pensando a Shangri-La come una sorta di gabbia dorata, come una ragnatela per catturare personalità. Lo stile di scrittura invece risulta “vecchio”: crea molta aspettativa senza che poi si verifichino eventi sconvolgenti (in questo ricorda un altro libro letto nel Circolo, Possessione).
Il finale aperto disturba, lascia domande irrisolte anche nei lettori: Conway sarà tornato a Shangri-La per portare avanti il mito? La storia è vera? Lo dice lo stesso autore a pagina 26: quia impossibile est…(è vero?)
Il giudizio finale dei lettori è positivo: molto piaciuto a Laura (“mi ha fatto riflettere”), “lascia bene” Valentina, il senso di calma riporta Anna alla pace balinese, “dopo tutto” piace a Francesca, Giulia rimane infastidita per l’incertezza su finale e veridicità della storia.
Curiosità sull’editore: Sellerio utilizza per i suoi libri carta di alta qualità e quindi costosa. Così, per mantenere i costi in linea con gli altri, ha scelto di ridurne il formato. Ci piace la sensazione che dà questo tipo di carta.
Il prossimo libro, scelto da Giorgio, è Educazione siberiana di Lilin.
Ferrara, 30 aprile 2022
Quarantatreesimo incontro e 15° anniversario di Bibliotè!
“Orizzonte perduto” di James Hilton
Partecipanti all’incontro: Francesca, Giulia, Valentina, Laura R., Anna, Elena (libro letto all’82%).
Orizzonte Perduto è il primo romanzo di successo di James Hilton, pubblicato nel 1935. È caratterizzato dal topos letterario del racconto nel racconto: il libro si apre in Inghilterra, una cena tra vecchi amici del college che, dopo i consueti aggiornamenti sulle loro vite, ricordano Conway il ragazzo che all’epoca degli studi si mostrava essere come il più in gamba e interessante della scuola (intraprendente e dotato di grande personalità). Rutherford, scrittore e avventuriero, lo ha ritrovato per caso durante uno dei suoi viaggi e ha riportato in un manoscritto il racconto fatto da Conway. È leggendo il manoscritto che il narratore viene a conoscenza delle avventure di Conway e le racconta al lettore.
Il meta-racconto si apre il giorno 20 maggio 1931 a Baskul (India), dove i diplomatici inglesi e altre persone vengono fatte fuggire dalla città sotto assedio. In un aereo pilotato da un esperto aviatore inglese vengono caricate quattro persone: Miss Roberta Brinklow della Missione Orientale, Henry D. Barnard cittadino degli Stati Uniti, Hugh Conway console della Sua Maestà Britannica e il giovane capitano Charles Mallinson vice-console di S.M. Britannica. Il volo è diretto a Peshawar, ma viene misteriosamente dirottato verso le montagne più impervie del Tibet. Sorpreso da una burrasca, l’aereo atterra malamente in mezzo alle montagne: i quattro passeggeri rimangono illesi, mentre il pilota è gravemente ferito. Osservando i tratti somatici di origine mongolica, i due inglesi si accorgono che non è il pilota inglese che si aspettavano; prima di morire riuscirà a dire a Conway che si trovano in un altipiano del Tibet, vicino a un monastero buddista chiamato Shangri-La. Poco dopo i superstiti vengono raggiunti da un gruppo di persone il cui capo cinese, finemente abbigliato con ottima conoscenza della lingua inglese, offre un rifugio sicuro proprio nel vicino monastero di Shangri-La. Il monastero si trova in una valle rigogliosa, circondata da vette aspre, fredde e minacciose: la valle della Luna Azzurra. La prima impressione che il monastero suscita è un senso di quiete e protezione, dove la vita scorre lenta e pacata. Gli abitanti del monastero sono tutti studiosi, persone che eccellono in qualcosa di particolare (la musica, la letteratura, la ricerca, …), vige la regola della moderazione – virtus in medio stat - nella quotidianità, tra le persone, nelle attività. La moderazione porta all’equilibrio, e tramite l’annullamento delle passioni i monaci riescono letteralmente a fermare il tempo. Tra gli abitanti si trovano infatti persone ultracentenarie, ma senza vederne i segni sul corpo: Lo-Tsen la giovane Manciù, arrivata al monastero nel 1844, quando aveva 18 anni, durante in viaggio verso il suo sposo; Briac, un allievo di Chopin; un curato inglese che nel 1840 conobbe la famiglia Broente.
L’unico modo di andarsene da Shangri-La è sfruttare i portatori che periodicamente riforniscono di provviste e beni il monastero. In questa situazione di isolamento e staticità del tempo, che sembra diventare infinito, affiorano le debolezze e le virtù umane dei quattro protagonisti. Emerge una forte contrapposizione tra il temperamento di Conway e Mallinson: il primo rimane affascinato dalla vita nel monastero, il secondo ne è molto infastidito e vuole ritornare a Londra a tutti i costi e il più presto possibile. La signora Brinklow e il signor Barnard, vedono invece delle opportunità anche nella nuova condizione e ognuno nel suo campo inizia ad adoperarsi: lei nell’imparare il tibetano per fondare una nuova missione, lui per sfruttare l’oro e i minerali di cui la valle è ricca.
Conway viene totalmente rapito dall’atmosfera del monastero e presto avrà l’onore di incontrare il Gran Lama, colui che ha fondato la comunità di Shangri-La nel 1734 quando aveva 53 anni. L’ultracentenario Gran Lama è dedito ormai alla sola meditazione e alla conservazione del suo copro in un ambiante caldo, umido e buio. Conway si intratterrà con lui in lunghe conversazioni fino al momento in cui il Gran Lama si spegnerà, appena dopo avergli comunicato la volontà che Conway sia il suo successore. Nello stesso momento, il giovane concitato Mallinson ha organizzato la fuga tramite una carovana di portatori e la giovane manciù Lo-Tsen si trova già al punto d’incontro per scappare con lui. Cerca di convincere Conway, che resiste raccontando anche la conversazione avuta on il Gran Lama morente; Mallinson non gli crede, vi è un accesa discussione tra i due, Mallinson parte e Conway rimane. Poco dopo Mallinson ritorna poiché, inesperto e impaurito, non è riuscito a superare un difficile passaggio tra le montagne: qui emerge lo spirito risoluto e generoso di Conway, che quindi lo accompagna nella fuga sopprimendo la sua stessa volontà di rimanere a Shangri-La.
Qui il racconto dell’avventura di Conway si interrompe, Rutherford in persona ha fatto ulteriori ricerche sulle tracce di Conway e il narratore le racconta sotto forma di dialogo tra lui e Rutherford. Le uniche certezze che si hanno è che di Mallison non si sono più avute notizie; il 5 ottobre 1931 Conway è arrivato a Chung-Kiang (Cina) e il 3 febbraio è ripartito per Bangkok. All’ospedale di Chung-Kiang Ruterford scopre, da un medico in servizio al tempo, che Conway è arrivato ferito e accompagnato da una donna molto anziana, la più anziana donna che il medico abbia mai visto…
Il finale del racconto resta sospeso, rimane il dubbio che Conway si tornato a Shangri-La e che la stessa Shangri-La esista. Che sia solo un sogno??
Il romanzo di Hilton ebbe molto successo e cominciò a creare una sorta di mito della saggezza e della tranquillità che si raggiunge dominando le passioni, sia nell’Occidente scosso tra le due guerre sia in Oriente. Nel 1937 Frank Capra fece un film molto fedele alle avventure di Conway, nel 1975 i Led Zeppelin pubblicarono il brano Kashmir ispirato al mito di Shangri-La, nel 2004 uscì l’album Shangri-La di Marc Knopfler. Ma il successo dell'idea di Shangri-La si diffonde ben oltre le arti, tanto che dal 1949 la Cina occupa l’altipiano del Tibet dove si presume ubicato il monastero del romanzo, e, nel 2002 a mezzo di decreto di Pechino, tre province dello Yunnan vengono rinominate Shangri-La. Ancora, nel 1971 a Hong Kong viene fondata la catena di hotel a cinque stelle Shangri-La, il cui nome si ispira proprio al luogo immaginario di Hilton.
Le tematiche del libro sono romantiche per i moltissimi riferimenti alla Natura che sovrasta l’uomo: le montagne gigantesche e impervie, che inquietano sia a guardarle (Conway durante la notte) sia ad attraversarle (Mallinson durante la fuga, gli esploratori durante le spedizioni, lo stesso Rutherford che non ha potuto nemmeno avvicinarsi al Tibet per le sue ricerche). Il vento è gelido, l’aria tagliente e affilata è spesso richiamata anche dai colori con cui si descrivono scena e paesaggio (il bianco della neve e della luna, l’azzurro della luna e dell’abito di Cheng), dando un senso di congelamento che ferma il tempo (tema incontrato dai lettori di Bibliotè anche nel libro Ubik). In contrasto, il riscaldamento è necessario alla conservazione del Gran Lama negli ultimi anni della sua vita ultracentenaria. Si ritrova il riferimento alla fonte della vita e della giovinezza, un topos letterario delle fiabe dell’800.
Vi è sia il senso di isolamento geografico del monastero, sia l’isolamento tra le persone e delle persone con il resto del mondo, che avviene con il distacco dalle pulsioni e dalla quotidianità della propria vita precedente l'arrivo a Shangri-La. Il distacco dal tempo e dalla frenesia del mondo circostante porta alla consapevolezza che si avrà il tempo di fare le cose, senza fretta né ansia. La pace, la lentezza, la pacatezza sono associate allo studio, all’arte e alla meditazione come via verso la saggezza.
Se per parte dei lettori (Laura, Valentina, Anna) questo stato di moderazione e pacatezza risulta piacevole per il senso di pace e di fuga dal mondo frenetico, per altri (Giulia, Francesca) crea una sensazione di immobilità fastidiosa, di pigrizia e inettitudine troppo avulsa dal mondo occidentale e moderno. Si può dire che le posizioni opposte di Conway e Mallinson si rispecchino anche nei lettori!
Le tematiche vengono percepite come molto attuali e si nota una somiglianza con la serie Nine Perfect Strangers, pensando a Shangri-La come una sorta di gabbia dorata, come una ragnatela per catturare personalità. Lo stile di scrittura invece risulta “vecchio”: crea molta aspettativa senza che poi si verifichino eventi sconvolgenti (in questo ricorda un altro libro letto nel Circolo, Possessione).
Il finale aperto disturba, lascia domande irrisolte anche nei lettori: Conway sarà tornato a Shangri-La per portare avanti il mito? La storia è vera? Lo dice lo stesso autore a pagina 26: quia impossibile est…(è vero?)
Il giudizio finale dei lettori è positivo: molto piaciuto a Laura (“mi ha fatto riflettere”), “lascia bene” Valentina, il senso di calma riporta Anna alla pace balinese, “dopo tutto” piace a Francesca, Giulia rimane infastidita per l’incertezza su finale e veridicità della storia.
Curiosità sull’editore: Sellerio utilizza per i suoi libri carta di alta qualità e quindi costosa. Così, per mantenere i costi in linea con gli altri, ha scelto di ridurne il formato. Ci piace la sensazione che dà questo tipo di carta.
Il prossimo libro, scelto da Giorgio, è Educazione siberiana di Lilin.
Re: VERBALI degli Incontri
Verbale redatto da Cecilia Buraschi
Ferrara, 2 Ottobre 2022
Quarantaquattresimo incontro
“Educazione Siberiana” di Nicolai Lilin
Partecipanti all’incontro: Giorgio, Elena, Giulia, Valentina, Laura R., Laura, Cecilia, Silvia, Francesca
Il circolo si apre con una riflessione sulla dubbia veridicità dei contenuti del libro, in relazione a due tematiche principali:
- In Transnistria sono presenti siberiani ma non deportati come popolazione nel suo complesso (solitamente la Siberia era luogo di deportazione, non viceversa)
- Comunità Urka: nella realtà non sembra esisti una comunità Urka che si sia proclamata come tale. Il nome risulta utilizzato per indicare gruppetti di criminali, non legati tuttavia ad una famiglia specifica
Effettivamente quando il libro venne pubblicato nel 2009 ci fu una polemica riguardo al fatto che esso non rappresentasse la storia. L’autore si difese dicendo che il libro era romanzo e molte parti di esso si riferivano a fatti inventati. Nel 1917 la famiglia dell’autore venne decimata a causa di atti criminali: il bisnonno e diversi parenti furono fucilati per aver commesso furti. Il nonno si salvò e scappò in Transnistria dove si stabilizzò, creando la propria famiglia, tuttavia in questa regione non risultano essere vissute famiglie criminali così strutturate come quelle descritte nel libro. Ad esempio, per quello che concerne il “codice”, fu il nonno a raccontarne all’autore i dettagli: anche se è noto che i criminali avessero un codice d’onore, ci sono dubbi sulla veridicità dei particolari trattati nel libro.
Alcuni partecipanti commentano che dispiace scoprire che i fatti in realtà non sono veri, in quanto il libro sembra molto credibile, nonostante alcune immagini sembrino un po’ eccessive per essere ambientate nei giorni nostri.
La discussione si è spostata sugli aspetti storici. La Transnistria è uno Stato indipendente de facto, non riconosciuto dai Paesi membri dell'ONU, essendo considerato de iure parte della Moldavia. Nel 1992 in Transnistria ci fu una grande guerra terminata con un armistizio garantito da una commissione congiunta tripartita tra Russia, Moldavia e Transnistria e dalla creazione di una zona demilitarizzata tra Moldavia e Transnistria comprendente venti località a ridosso del fiume Dnestr.
La città e il fiume citati nel libro esistono realmente. Quando il libro venne pubblicato, i cittadini non accolsero di buon grado i contenuti.
Al di là dei fatti reali o inventati, i partecipanti all’incontro convengono sulla bravura dello scrittore nell’aver creato una storia “reale”. Lo stile narrativo è semplice e lascia che siano le scene stesse a parlare. L’autore fa assaporare al lettore quanto il protagonista sia una persona semplice che vive, però, in una realtà molto articolata, che così è e va rispettata. L’assenza di capitoli rende il libro un discorso unico, che riesce a tenere ancorato il lettore al romanzo. Risulta difficile contestualizzare sia il periodo storico che l’età del protagonista.
Singolare è la contrapposizione tra la fede e l’atto di uccidere. L’autore si compiace di parlare citando sempre la figura di Dio, tuttavia i fatti che avvengono non seguono quanto “prescritto” dall’ideologia religiosa. La religione è per lo più utilizzata come mezzo per pulire la coscienza in seguito alle azioni criminali svolte. Ossimori quali “criminale onesto” aiutano il lettore nell’immedesimarsi nel ribaltamento del punto di vista. I poliziotti sono infatti visti come i cattivi, al contrario dei criminali che rappresentano i buoni.
L’ambiente divide i lettori. Una parte di questi si immagina il quartiere descritto come sereno e a contatto con la natura (immagini di bambini che giocano insieme all’aperto), altri invece come povero con catapecchie.
Come per la fede, anche la figura della donna è dipinta con tratti contrastanti. La donna viene considerata inferiore all’uomo (di fatto è l’unica che può parlare con gli sbirri) ma allo stesso tempo viene rispettata (finché fa parte del territorio dei criminali).
Il tema del tatuaggio è molto presente lungo tutta la narrazione. Le regole sono molto ferree anche per questo aspetto: ogni tatuaggio ha un significato e l’insieme di questi sul corpo di una persona rappresenta la storia della vita dell’individuo che li porta. I lettori sono stati molto affascinati da questa tematica. Il libro stesso si chiude con il disegno di un tatuaggio, come ad indicare la firma dell’autore.
Il libro è piaciuto al 57% dei lettori, il 29% lo considera di medio piacimento e al restante 14% non è piaciuto.
Il prossimo libro, scelto da Cecilia, è L'EMPORIO DEI PICCOLI MIRACOLI di Keigo Higashino.
Ferrara, 2 Ottobre 2022
Quarantaquattresimo incontro
“Educazione Siberiana” di Nicolai Lilin
Partecipanti all’incontro: Giorgio, Elena, Giulia, Valentina, Laura R., Laura, Cecilia, Silvia, Francesca
Il circolo si apre con una riflessione sulla dubbia veridicità dei contenuti del libro, in relazione a due tematiche principali:
- In Transnistria sono presenti siberiani ma non deportati come popolazione nel suo complesso (solitamente la Siberia era luogo di deportazione, non viceversa)
- Comunità Urka: nella realtà non sembra esisti una comunità Urka che si sia proclamata come tale. Il nome risulta utilizzato per indicare gruppetti di criminali, non legati tuttavia ad una famiglia specifica
Effettivamente quando il libro venne pubblicato nel 2009 ci fu una polemica riguardo al fatto che esso non rappresentasse la storia. L’autore si difese dicendo che il libro era romanzo e molte parti di esso si riferivano a fatti inventati. Nel 1917 la famiglia dell’autore venne decimata a causa di atti criminali: il bisnonno e diversi parenti furono fucilati per aver commesso furti. Il nonno si salvò e scappò in Transnistria dove si stabilizzò, creando la propria famiglia, tuttavia in questa regione non risultano essere vissute famiglie criminali così strutturate come quelle descritte nel libro. Ad esempio, per quello che concerne il “codice”, fu il nonno a raccontarne all’autore i dettagli: anche se è noto che i criminali avessero un codice d’onore, ci sono dubbi sulla veridicità dei particolari trattati nel libro.
Alcuni partecipanti commentano che dispiace scoprire che i fatti in realtà non sono veri, in quanto il libro sembra molto credibile, nonostante alcune immagini sembrino un po’ eccessive per essere ambientate nei giorni nostri.
La discussione si è spostata sugli aspetti storici. La Transnistria è uno Stato indipendente de facto, non riconosciuto dai Paesi membri dell'ONU, essendo considerato de iure parte della Moldavia. Nel 1992 in Transnistria ci fu una grande guerra terminata con un armistizio garantito da una commissione congiunta tripartita tra Russia, Moldavia e Transnistria e dalla creazione di una zona demilitarizzata tra Moldavia e Transnistria comprendente venti località a ridosso del fiume Dnestr.
La città e il fiume citati nel libro esistono realmente. Quando il libro venne pubblicato, i cittadini non accolsero di buon grado i contenuti.
Al di là dei fatti reali o inventati, i partecipanti all’incontro convengono sulla bravura dello scrittore nell’aver creato una storia “reale”. Lo stile narrativo è semplice e lascia che siano le scene stesse a parlare. L’autore fa assaporare al lettore quanto il protagonista sia una persona semplice che vive, però, in una realtà molto articolata, che così è e va rispettata. L’assenza di capitoli rende il libro un discorso unico, che riesce a tenere ancorato il lettore al romanzo. Risulta difficile contestualizzare sia il periodo storico che l’età del protagonista.
Singolare è la contrapposizione tra la fede e l’atto di uccidere. L’autore si compiace di parlare citando sempre la figura di Dio, tuttavia i fatti che avvengono non seguono quanto “prescritto” dall’ideologia religiosa. La religione è per lo più utilizzata come mezzo per pulire la coscienza in seguito alle azioni criminali svolte. Ossimori quali “criminale onesto” aiutano il lettore nell’immedesimarsi nel ribaltamento del punto di vista. I poliziotti sono infatti visti come i cattivi, al contrario dei criminali che rappresentano i buoni.
L’ambiente divide i lettori. Una parte di questi si immagina il quartiere descritto come sereno e a contatto con la natura (immagini di bambini che giocano insieme all’aperto), altri invece come povero con catapecchie.
Come per la fede, anche la figura della donna è dipinta con tratti contrastanti. La donna viene considerata inferiore all’uomo (di fatto è l’unica che può parlare con gli sbirri) ma allo stesso tempo viene rispettata (finché fa parte del territorio dei criminali).
Il tema del tatuaggio è molto presente lungo tutta la narrazione. Le regole sono molto ferree anche per questo aspetto: ogni tatuaggio ha un significato e l’insieme di questi sul corpo di una persona rappresenta la storia della vita dell’individuo che li porta. I lettori sono stati molto affascinati da questa tematica. Il libro stesso si chiude con il disegno di un tatuaggio, come ad indicare la firma dell’autore.
Il libro è piaciuto al 57% dei lettori, il 29% lo considera di medio piacimento e al restante 14% non è piaciuto.
Il prossimo libro, scelto da Cecilia, è L'EMPORIO DEI PICCOLI MIRACOLI di Keigo Higashino.
Re: VERBALI degli Incontri
L'EMPORIO DEI PICCOLI MIRACOLI di Keigo Higashino
Re: VERBALI degli Incontri
"GUARDA LE LUCI, AMORE MIO" di Annie Ernaux
Ferrara, maggio 2023
Ferrara, maggio 2023
Last edited by LauraR on 05/07/2024, 11:55, edited 1 time in total.
Re: VERBALI degli Incontri
"LA VERA STORIA DEL PIRATA LONG JOHN SILVER" di Björn Larsson
Ferrara, 1 ottobre 2023
Bibliotè da Silvia
Quarantasettesimo incontro
Verbale redatto da Elena
Presenti:
Silvia (mod), Laura R., Giorgio, Elena, Giulia, Francesca, Cecilia, Valentina, Federica (1°incontro)
L’autore, Björn LARSSON, nato a Jönköping, Svezia, docente di letteratura francese all’Università di Lund, filologo, traduttore, scrittore e appassionato velista, è uno degli autori svedesi più noti anche in Italia. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Grinzane Biamonti, il Premio Elsa Morante, il Premio internazionale cultura del mare, il Premio Boccaccio Europa e il prestigioso Prix Médicis in Francia. Tra i suoi titoli di maggior successo, oltre a La vera storia del pirata Long John Silver, anche Il Cerchio Celtico, Il porto dei sogni incrociati, La saggezza del mare, I poeti morti non scrivono gialli, La lettera di Gertrud e Nel nome del figlio.
In una intervista è stato chiesto all’autore come mai abbia deciso di scrivere la biografia di un personaggio letterario, e lui risponde dicendo che è una fascinazione fatta di repulsione, quanto di attrazione. Gli interessava cosa rendesse Long John Silver sia amabile che detestabile, era affascinato da cosa era successo prima e da cosa successe dopo. A Francesca ricorda molto la scrittura di A. J. Cronin.
Molti partecipanti hanno letto L’isola del Tesoro da bambini, e anche Silvia, la moderatrice di oggi, si era ripromessa di rileggerlo, prima di prendere in mano questo volume, ma non ci è riuscita. Quest’anno il libro compie 25 anni dalla prima pubblicazione in Italia.
Il protagonista di questo romanzo, una biografia, è appunto Long John Silver, il temibile pirata con una gamba sola dell’Isola del Tesoro, detto Barbecue, fatto sparire da Stevenson nel nulla per riapparirci ora vivo e ricco nel 1742 in Madagascar, intento a scrivere le sue memorie. Un po’ per correggere la biografia scritta da Jim Hawkins, un po’ perché lui vuole sopravvivere nell’immaginario collettivo.
Nato nel 1685 a Bristol, figlio di un irlandese e di una scozzese, vive nell’età d’oro della pirateria, racconta la propria vita in ordine non prettamente cronologico, è un pirata che non toglie mai i guanti per non svelare troppo di sé, non beve, per non perdere mai il controllo, non abusa delle donne, le rispetta, libera gli schiavi neri, non scialacqua i soldi e ha una grande sete di libertà.
Larsson spiega com’era il mondo all’epoca della pirateria, i legami con il commercio ufficiale, la tratta degli schiavi, il contrabbando, le atroci condizioni dei marinai, i soprusi dei capitani, il codice egualitario dei pirati, le loro efferatezze e quelle contro cui si ribellavano, le motivazioni e le ingenuità dei grandi “gentiluomini di ventura”. Ma è a un personaggio letterario che è affidato il compito di rivelare la “verità”, un personaggio cosciente di esistere solo nelle parole, che dialoga in un pub di Londra con Defoe fornendogli notizie per la sua storia della pirateria, che risponde a Jim Hawkins dopo aver letto L’Isola del Tesoro, e che, in quel continuo gioco di rimandi, indaga sul rapporto tra realtà e invenzione, sete di vivere e bisogno di immortalità, solitudine e libertà, con la consapevolezza che non esiste altra vera vita di quella che raccontiamo a noi stessi.
Provando a riassumere la vicenda potremmo dire che "La vera storia del pirata Long John Silver" è un romanzo che reinterpreta e amplia il personaggio di Long John Silver, originariamente creato da Robert Louis Stevenson in "L'isola del tesoro".
Il libro è scritto come un’autobiografia di Long John Silver, che racconta in prima persona la sua vita avventurosa e spesso tragica. La narrazione inizia con la giovinezza di Silver a Bristol, dove subisce violenze e ingiustizie che lo spingono verso una vita di pirateria. Attraverso le sue parole, esploriamo il mondo dei pirati nel XVIII secolo, con tutte le sue sfaccettature: la brutalità e la violenza, ma anche l'euforia della libertà e dell'avventura.
Silver descrive le sue esperienze sui mari, le battaglie navali, i saccheggi, e i rapporti con altri famosi pirati e personaggi dell'epoca. Il libro non si limita a narrare le gesta piratesche, ma scava profondamente nel carattere di Silver, rivelando i suoi pensieri, le sue paure e le sue ambizioni. Questo lo rende un personaggio complesso e umano, lontano dallo stereotipo del pirata crudele e senza scrupoli.
Un tema centrale del libro è la ricerca della libertà e il costo che essa comporta. Silver, pur riconoscendo le sue azioni immorali, difende la sua scelta di vita come un atto di ribellione contro una società ingiusta e oppressiva. La sua filosofia di vita, le sue riflessioni sulla giustizia e la moralità, aggiungono profondità alla narrazione, rendendo il lettore partecipe dei suoi dilemmi etici.
Inoltre, Larsson integra nella trama numerosi riferimenti storici accurati, offrendo uno spaccato realistico dell'epoca in cui i pirati infestavano i mari. Questa attenzione ai dettagli storici rende il romanzo non solo una lettura avvincente, ma anche istruttiva.
Temi centrali:
Libertà e Ribellione:
Il tema della libertà è centrale nel romanzo, rappresentato dal desiderio di Long John Silver di vivere una vita indipendente e priva di costrizioni. La sua scelta di diventare pirata è un atto di ribellione contro le norme sociali e le ingiustizie del suo tempo.
Silver vede la pirateria come un mezzo per sfuggire a una società che lo ha trattato ingiustamente e come un'opportunità per creare il proprio destino. La libertà che trova sulla nave pirata è contrastata dalle leggi e dalle strutture di potere a terra, evidenziando il conflitto tra l'individuo e la società.
Ai pirati solitamente non interessa vivere o morire, per lui invece è ricorrente la paura della forca, di essere impiccato. Libera gli schiavi neri e rispetta le donne: lo fa per convenienza o lo fa perché rispetta e dà valore alla vita?
Quesito a cui si cerca di rispondere. In definitiva rimane un personaggio indecifrabile: è umano, ma è diabolico, ha tratti di compassione e umanità non riscontrabili solitamente nell’immaginario dei pirati, ma comunque ha le sue malvagità. Non si capisce che principi persegua nella vita, lui segue i suoi capitani fino alla loro morte, anche non condividendone le idee. Anche con la sua donna, Dolores, ha un rapporto libero fino alla fine
Giorgio spiega la vita del nostro protagonista prima di diventare pirata. Racconta che aveva studiato in collegio in Scozia, aveva iniziato a capire come controllare le persone attraverso il racconto, (era simil-menestrello), adorava essere apprezzato, viene cacciato dal collegio dopo aver deriso le sacre scritture, e poi viene arruolato su una nave dove rimane per 10 anni.
Secondo Federica ha tratti da pirata ma suscita fascino, ha la capacità di entrare in scena ed essere sempre il protagonista, quello che fa capire che il confine tra il bene e il male non è così netto, Silver incarna bene il fatto che ogni persona ha diverse sfaccettature, lui ti sembra generoso, affabile e poi ti accorgi che ha sempre il suo tornaconto personale. Però si sa distinguere, perché non si tira indietro davanti alla fatica, si carica di lavoro. Alla fine lui parla di sé stesso in terza persona, come se nemmeno lui si riconoscesse o si capisse, ha questo sdoppiamento tra bene e male. Prova a scrivere per riconoscersi, ma la scrittura lo disorienta ancora di più, e tu lettore più lo segui e più lo vedi oscuro.
Francesca dice che lui ti disorienta, lascia sempre il dubbio di essere sincero o meno, essere in un modo o nell’altro.
Giorgio questo lo vede come il fatto che lui si sta avvicinando alla morte e non distingue più chiaramente, o non fa tutta questa distinzione, tra essere in un modo o nell’altro.
A lui piace piacere agli altri, non vuole essere capitano perché sa che non gli conviene esserlo perché non potrebbe fare quello che vuole, non vuole lasciarsi definire, vuole essere libero ogni giorno di comportarsi nel modo in cui vuole. Lui vuole il controllo della sua vita, quando naufraga perde questo controllo e si spaventa molto.
Moralità e Giustizia:
Il libro esplora le questioni morali e le sfide etiche che affronta il pirata nella sua vita. La distinzione tra giusto e sbagliato è spesso sfumata, Silver riflette sulle sue azioni e le loro conseguenze. Riconosce che molte delle sue azioni sono moralmente discutibili, ma giustifica le sue scelte come necessarie per sopravvivere e proteggere la propria libertà. Questo tema viene molto dibattuto nella nostra discussione, bisogna considerare la complessità della moralità e come le circostanze influenzano le decisioni etiche dei personaggi nella storia. Silver non ha rimorsi, perché anche quando uccide sa di averlo fatto per un buon motivo: sopravvivere.
«Ma una cosa almeno l'ho capita. C'è della gente che neanche sa di vivere. E' come se non si rendesse neppure conto che esiste. Forse è proprio qui la differenza. Io ho sempre avuto cara la pelle attaccata a quel poco che mi rimaneva del corpo. Meglio condannati a morte che impiccati con le proprie mani, dico io, se proprio si è costretti a scegliere. Niente di peggio dei nodi scorsoi, a mia conoscenza.»
P. 26
Identità, Autodeterminazione (controllo sulla propria vita)
L'identità di Long John Silver è un tema ricorrente nel romanzo, poiché lui cerca di definire sé stesso al di fuori delle etichette imposte dalla società, racconta la sua storia per prendere il controllo della propria narrazione e presentare una versione più autentica di sé stesso. Lui vuole il controllo totale sulla sua vita, e quando naufraga e lo perde, si spaventa moltissimo.
Amicizia e Tradimento:
Le relazioni personali, in particolare l'amicizia e il tradimento, giocano un ruolo cruciale nella vita di Silver. Le dinamiche di fiducia e lealtà tra i pirati sono complesse e spesso contraddittorie. Le amicizie di Silver sono messe alla prova dalle circostanze estreme della vita di pirata, e il tradimento è una minaccia costante. Questo tema evidenzia la fragilità delle relazioni umane in un ambiente pericoloso e competitivo come quello dei pirati.
«Ma non dimenticate anche questa di pura e sacrosanta verità: che chi era compagno di John Silver e l'ha tradito una volta, una seconda volta non l'ha avuta nello stesso mondo del vecchio John.»
P. 399
«Ci sono solo due vie, per chi vuole vivere da essere umano con qualche senso finché non muore. Una è mantenere la rotta. L'altra è farsi impiccare.»
P. 407
Avventura e Scoperta:
Silver vive una serie di esperienze emozionanti e pericolose sui mari. Le sue avventure non sono solo fisiche, ma anche emotive e filosofiche. Attraverso le sue esperienze, il pirata esplora nuove terre, culture e idee, espandendo la sua comprensione del mondo e di sé stesso come persona.
Storia e Mito:
Il romanzo gioca con la linea sottile tra storia e mito, raccontando la vita di un personaggio leggendario con un approccio realistico.
Larsson rielabora il mito di Long John Silver, creando una storia che mescola elementi storici con finzione. Questo tema esplora come i miti e le storie si formano e si trasformano nel tempo, e come la percezione della verità può essere soggettiva e sfaccettata.
Questi temi si intrecciano per creare un ritratto complesso di Long John Silver, offrendo ai lettori una visione approfondita della sua vita e delle sue motivazioni.
In generale il libro è piaciuto, c’è chi si è sentito coinvolto dalla lettura e chi no, chi ha apprezzato il tentativo ma ha trovato il libro molto pesante, credeva fosse più avventuroso e meno biografico.
Il prossimo libro da leggere sarà: “La libreria sulla collina”, di Alba Donati.
Ferrara, 1 ottobre 2023
Bibliotè da Silvia
Quarantasettesimo incontro
Verbale redatto da Elena
Presenti:
Silvia (mod), Laura R., Giorgio, Elena, Giulia, Francesca, Cecilia, Valentina, Federica (1°incontro)
L’autore, Björn LARSSON, nato a Jönköping, Svezia, docente di letteratura francese all’Università di Lund, filologo, traduttore, scrittore e appassionato velista, è uno degli autori svedesi più noti anche in Italia. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Grinzane Biamonti, il Premio Elsa Morante, il Premio internazionale cultura del mare, il Premio Boccaccio Europa e il prestigioso Prix Médicis in Francia. Tra i suoi titoli di maggior successo, oltre a La vera storia del pirata Long John Silver, anche Il Cerchio Celtico, Il porto dei sogni incrociati, La saggezza del mare, I poeti morti non scrivono gialli, La lettera di Gertrud e Nel nome del figlio.
In una intervista è stato chiesto all’autore come mai abbia deciso di scrivere la biografia di un personaggio letterario, e lui risponde dicendo che è una fascinazione fatta di repulsione, quanto di attrazione. Gli interessava cosa rendesse Long John Silver sia amabile che detestabile, era affascinato da cosa era successo prima e da cosa successe dopo. A Francesca ricorda molto la scrittura di A. J. Cronin.
Molti partecipanti hanno letto L’isola del Tesoro da bambini, e anche Silvia, la moderatrice di oggi, si era ripromessa di rileggerlo, prima di prendere in mano questo volume, ma non ci è riuscita. Quest’anno il libro compie 25 anni dalla prima pubblicazione in Italia.
Il protagonista di questo romanzo, una biografia, è appunto Long John Silver, il temibile pirata con una gamba sola dell’Isola del Tesoro, detto Barbecue, fatto sparire da Stevenson nel nulla per riapparirci ora vivo e ricco nel 1742 in Madagascar, intento a scrivere le sue memorie. Un po’ per correggere la biografia scritta da Jim Hawkins, un po’ perché lui vuole sopravvivere nell’immaginario collettivo.
Nato nel 1685 a Bristol, figlio di un irlandese e di una scozzese, vive nell’età d’oro della pirateria, racconta la propria vita in ordine non prettamente cronologico, è un pirata che non toglie mai i guanti per non svelare troppo di sé, non beve, per non perdere mai il controllo, non abusa delle donne, le rispetta, libera gli schiavi neri, non scialacqua i soldi e ha una grande sete di libertà.
Larsson spiega com’era il mondo all’epoca della pirateria, i legami con il commercio ufficiale, la tratta degli schiavi, il contrabbando, le atroci condizioni dei marinai, i soprusi dei capitani, il codice egualitario dei pirati, le loro efferatezze e quelle contro cui si ribellavano, le motivazioni e le ingenuità dei grandi “gentiluomini di ventura”. Ma è a un personaggio letterario che è affidato il compito di rivelare la “verità”, un personaggio cosciente di esistere solo nelle parole, che dialoga in un pub di Londra con Defoe fornendogli notizie per la sua storia della pirateria, che risponde a Jim Hawkins dopo aver letto L’Isola del Tesoro, e che, in quel continuo gioco di rimandi, indaga sul rapporto tra realtà e invenzione, sete di vivere e bisogno di immortalità, solitudine e libertà, con la consapevolezza che non esiste altra vera vita di quella che raccontiamo a noi stessi.
Provando a riassumere la vicenda potremmo dire che "La vera storia del pirata Long John Silver" è un romanzo che reinterpreta e amplia il personaggio di Long John Silver, originariamente creato da Robert Louis Stevenson in "L'isola del tesoro".
Il libro è scritto come un’autobiografia di Long John Silver, che racconta in prima persona la sua vita avventurosa e spesso tragica. La narrazione inizia con la giovinezza di Silver a Bristol, dove subisce violenze e ingiustizie che lo spingono verso una vita di pirateria. Attraverso le sue parole, esploriamo il mondo dei pirati nel XVIII secolo, con tutte le sue sfaccettature: la brutalità e la violenza, ma anche l'euforia della libertà e dell'avventura.
Silver descrive le sue esperienze sui mari, le battaglie navali, i saccheggi, e i rapporti con altri famosi pirati e personaggi dell'epoca. Il libro non si limita a narrare le gesta piratesche, ma scava profondamente nel carattere di Silver, rivelando i suoi pensieri, le sue paure e le sue ambizioni. Questo lo rende un personaggio complesso e umano, lontano dallo stereotipo del pirata crudele e senza scrupoli.
Un tema centrale del libro è la ricerca della libertà e il costo che essa comporta. Silver, pur riconoscendo le sue azioni immorali, difende la sua scelta di vita come un atto di ribellione contro una società ingiusta e oppressiva. La sua filosofia di vita, le sue riflessioni sulla giustizia e la moralità, aggiungono profondità alla narrazione, rendendo il lettore partecipe dei suoi dilemmi etici.
Inoltre, Larsson integra nella trama numerosi riferimenti storici accurati, offrendo uno spaccato realistico dell'epoca in cui i pirati infestavano i mari. Questa attenzione ai dettagli storici rende il romanzo non solo una lettura avvincente, ma anche istruttiva.
Temi centrali:
Libertà e Ribellione:
Il tema della libertà è centrale nel romanzo, rappresentato dal desiderio di Long John Silver di vivere una vita indipendente e priva di costrizioni. La sua scelta di diventare pirata è un atto di ribellione contro le norme sociali e le ingiustizie del suo tempo.
Silver vede la pirateria come un mezzo per sfuggire a una società che lo ha trattato ingiustamente e come un'opportunità per creare il proprio destino. La libertà che trova sulla nave pirata è contrastata dalle leggi e dalle strutture di potere a terra, evidenziando il conflitto tra l'individuo e la società.
Ai pirati solitamente non interessa vivere o morire, per lui invece è ricorrente la paura della forca, di essere impiccato. Libera gli schiavi neri e rispetta le donne: lo fa per convenienza o lo fa perché rispetta e dà valore alla vita?
Quesito a cui si cerca di rispondere. In definitiva rimane un personaggio indecifrabile: è umano, ma è diabolico, ha tratti di compassione e umanità non riscontrabili solitamente nell’immaginario dei pirati, ma comunque ha le sue malvagità. Non si capisce che principi persegua nella vita, lui segue i suoi capitani fino alla loro morte, anche non condividendone le idee. Anche con la sua donna, Dolores, ha un rapporto libero fino alla fine
Giorgio spiega la vita del nostro protagonista prima di diventare pirata. Racconta che aveva studiato in collegio in Scozia, aveva iniziato a capire come controllare le persone attraverso il racconto, (era simil-menestrello), adorava essere apprezzato, viene cacciato dal collegio dopo aver deriso le sacre scritture, e poi viene arruolato su una nave dove rimane per 10 anni.
Secondo Federica ha tratti da pirata ma suscita fascino, ha la capacità di entrare in scena ed essere sempre il protagonista, quello che fa capire che il confine tra il bene e il male non è così netto, Silver incarna bene il fatto che ogni persona ha diverse sfaccettature, lui ti sembra generoso, affabile e poi ti accorgi che ha sempre il suo tornaconto personale. Però si sa distinguere, perché non si tira indietro davanti alla fatica, si carica di lavoro. Alla fine lui parla di sé stesso in terza persona, come se nemmeno lui si riconoscesse o si capisse, ha questo sdoppiamento tra bene e male. Prova a scrivere per riconoscersi, ma la scrittura lo disorienta ancora di più, e tu lettore più lo segui e più lo vedi oscuro.
Francesca dice che lui ti disorienta, lascia sempre il dubbio di essere sincero o meno, essere in un modo o nell’altro.
Giorgio questo lo vede come il fatto che lui si sta avvicinando alla morte e non distingue più chiaramente, o non fa tutta questa distinzione, tra essere in un modo o nell’altro.
A lui piace piacere agli altri, non vuole essere capitano perché sa che non gli conviene esserlo perché non potrebbe fare quello che vuole, non vuole lasciarsi definire, vuole essere libero ogni giorno di comportarsi nel modo in cui vuole. Lui vuole il controllo della sua vita, quando naufraga perde questo controllo e si spaventa molto.
Moralità e Giustizia:
Il libro esplora le questioni morali e le sfide etiche che affronta il pirata nella sua vita. La distinzione tra giusto e sbagliato è spesso sfumata, Silver riflette sulle sue azioni e le loro conseguenze. Riconosce che molte delle sue azioni sono moralmente discutibili, ma giustifica le sue scelte come necessarie per sopravvivere e proteggere la propria libertà. Questo tema viene molto dibattuto nella nostra discussione, bisogna considerare la complessità della moralità e come le circostanze influenzano le decisioni etiche dei personaggi nella storia. Silver non ha rimorsi, perché anche quando uccide sa di averlo fatto per un buon motivo: sopravvivere.
«Ma una cosa almeno l'ho capita. C'è della gente che neanche sa di vivere. E' come se non si rendesse neppure conto che esiste. Forse è proprio qui la differenza. Io ho sempre avuto cara la pelle attaccata a quel poco che mi rimaneva del corpo. Meglio condannati a morte che impiccati con le proprie mani, dico io, se proprio si è costretti a scegliere. Niente di peggio dei nodi scorsoi, a mia conoscenza.»
P. 26
Identità, Autodeterminazione (controllo sulla propria vita)
L'identità di Long John Silver è un tema ricorrente nel romanzo, poiché lui cerca di definire sé stesso al di fuori delle etichette imposte dalla società, racconta la sua storia per prendere il controllo della propria narrazione e presentare una versione più autentica di sé stesso. Lui vuole il controllo totale sulla sua vita, e quando naufraga e lo perde, si spaventa moltissimo.
Amicizia e Tradimento:
Le relazioni personali, in particolare l'amicizia e il tradimento, giocano un ruolo cruciale nella vita di Silver. Le dinamiche di fiducia e lealtà tra i pirati sono complesse e spesso contraddittorie. Le amicizie di Silver sono messe alla prova dalle circostanze estreme della vita di pirata, e il tradimento è una minaccia costante. Questo tema evidenzia la fragilità delle relazioni umane in un ambiente pericoloso e competitivo come quello dei pirati.
«Ma non dimenticate anche questa di pura e sacrosanta verità: che chi era compagno di John Silver e l'ha tradito una volta, una seconda volta non l'ha avuta nello stesso mondo del vecchio John.»
P. 399
«Ci sono solo due vie, per chi vuole vivere da essere umano con qualche senso finché non muore. Una è mantenere la rotta. L'altra è farsi impiccare.»
P. 407
Avventura e Scoperta:
Silver vive una serie di esperienze emozionanti e pericolose sui mari. Le sue avventure non sono solo fisiche, ma anche emotive e filosofiche. Attraverso le sue esperienze, il pirata esplora nuove terre, culture e idee, espandendo la sua comprensione del mondo e di sé stesso come persona.
Storia e Mito:
Il romanzo gioca con la linea sottile tra storia e mito, raccontando la vita di un personaggio leggendario con un approccio realistico.
Larsson rielabora il mito di Long John Silver, creando una storia che mescola elementi storici con finzione. Questo tema esplora come i miti e le storie si formano e si trasformano nel tempo, e come la percezione della verità può essere soggettiva e sfaccettata.
Questi temi si intrecciano per creare un ritratto complesso di Long John Silver, offrendo ai lettori una visione approfondita della sua vita e delle sue motivazioni.
In generale il libro è piaciuto, c’è chi si è sentito coinvolto dalla lettura e chi no, chi ha apprezzato il tentativo ma ha trovato il libro molto pesante, credeva fosse più avventuroso e meno biografico.
Il prossimo libro da leggere sarà: “La libreria sulla collina”, di Alba Donati.
Last edited by LauraR on 05/07/2024, 11:55, edited 1 time in total.