VERBALI degli Incontri

Per tutto quello che riguarda l'Organizzazione degli Incontri del Circolo Letterario e i relativi Verbali.
Laurina
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Re: VERBALI degli Incontri

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Verbale redatto da Laura Facchini:

Ferrara, 20 gennaio 2013

“Il mio nome è rosso” di Orhan Pamuk
Libro proposto da Silvia Callegari

Partecipanti all’incontro: Silvia Callegari (moderatrice), Elisabetta Savino, Giulia Pasquali, Francesca Buraschi, Costanza Perri, Laura Facchini, Anna Vaccari. Cecilia Buraschi partecipa in qualità di uditrice.

Silvia apre la discussione analizzando gli argomenti principali del libro: il contrasto tra Oriente e Occidente, la morte e l’amore.
Emerge innanzitutto che la storia d’amore e gli omicidi fanno da sfondo al tema portante, cioè il contrasto tra Oriente ed Occidente.
Il libro è permeato da tale contrasto, che viene dall’Autore strettamente collegato alle differenze che intercorrono tra queste due culture nello stile della pittura.
In Oriente, il pittore dipinge ciò che vede Allah, laddove in Occidente si adotta la tecnica della prospettiva.
Per Francesca, gli Orientali hanno timore che disegnare le persone e gli oggetti così come appaiono realmente, e con le dovute prospettive e proporzioni, comporti un’equiparazione del pittore a Dio.
Il pittore occidentale viene criticato proprio perché ha la superbia di sostituirsi a Dio nella visuale del mondo, anche se poi si ammette che i disegni occidentali sono più aderenti alla realtà.
Nel libro è presente una costante e contemporanea venerazione e diffidenza per i disegni occidentali. Ciò è dimostrato nel momento in cui Şeküre rivela il desiderio di farsi ritrarre, per immortalare la sua bellezza, essendo nello stesso tempo contrariata e quasi ostile a questa sua stessa pulsione.
I miniaturisti sono così legati alle tradizioni, che alla fine, quando avviene ciò che più si temeva e lo stile occidentale prende il sopravvento, smettono di disegnare, pur di non mutare la propria tecnica.

Per quanto concerne la storia d’amore tra Şeküre e Nero, l’impressione di tutti è quella di un amore a senso unico: solo Nero è innamorato.
Laura dissente: Nero non ama realmente Şeküre, piuttosto è innamorato dell’idea che si è fatto di lei quando erano bambini e che ha mantenuto ed alimentato nel corso degli anni in cui si trovava lontano dal suo paese d’origine.
In tutto il libro, inoltre, è costante il parallelismo tra la storia d’amore tra Şeküre e Nero e quella tra Şirin e Cosroe, famosi personaggi di libri miniati.
Nonostante la storia sia ambientata ad Istanbul nel 1591, vi sono frequenti richiami al sesso. Per alcuni, il libro in alcuni punti è pornografico, ed il sesso viene trattato con leggerezza.

Circa il tema degli omicidi l’impressione è stata quella che l’Autore non gli abbia dedicato sufficiente attenzione. Nessuno dei partecipanti aveva capito che l’omicida era Oliva.
Secondo Elisabetta e Francesca, Oliva non aveva alcun motivo per uccidere. Lo scrittore semina indizi per far capire al lettore chi è l’assassino, ma la fine non è sembrata coerente con quanto affermato nei capitoli precedenti.
Nel finale, Hasan uccide Oliva per caso, confondendolo per uno degli uomini che aveva sequestrato Şeküre dalla sua casa. E’ un finale truculento e, per alcuni versi, decisamente splatter.
Nessuno è riuscito a capire in che modo Nero, Cicogna e Farfalla sono giunti alla conclusione che Oliva era l’assassino, non viene spiegato. L’ipotesi più plausibile è quella per cui sono andati per esclusione.

Tutti concordano che nel libro non è presente nemmeno un personaggio simpatico, non ci si riesce ad immedesimare in nessuno dei protagonisti.

Si discute poi di un argomento che compare a più riprese nel testo, cioè quello della cecità. Pamuk ricorda spesso che tutti i più grandi miniaturisti (orientali) diventarono ciechi in età avanzata. Ciò era considerato un simbolo di grande maestria nell’arte della miniatura.
A Francesca ricorda Omero: la cecità appartiene ai saggi. Per Silvia, l’argomento è legato al contrasto tra Oriente ed Occidente nel campo della pittura.
Nel libro si parla di come maestri venerabili diventavano ciechi del tutto naturalmente, mentre Maestro Osman si acceca da solo, utilizzando il medesimo spillone che Maestro Behzat usò per accecarsi a sua volta.
Anna fa presente che quando Maestro Osman prende la decisione di accecarsi, stava guardando il libro di miniature dipinto dal grande Maestro Behzat e, probabilmente, prende questa decisione per due motivi: perché non voleva correre il rischio di cambiare il proprio stile, posto che il Sultano era sempre più attratto dal metodo Occidentale, e per imitare Maestro Behzat.
Per Silvia e Francesca, il personaggio di Maestro Osman non è così profondo. Presumibilmente, Maestro Osman si acceca per la paura di non diventare cieco in modo naturale. Infatti, coloro che non perdevano la vista non erano considerati miniaturisti eccellenti.
Nessuno poi è riuscito a capire perché lo spillone usato da Maestro Osman è stato sottratto da Nero. La scelta è priva di qualsivoglia giustificazione.

Ultimo argomento affrontato è il metodo di scrittura; si tratta di un romanzo corale, in cui ogni capitolo è narrato dai vari protagonisti. Ci si è chiesti chi è il narratore.
Secondo Francesca, il libro è stato scritto da Orhan, il figlio di primo letto di Şeküre; infatti, in chiusura del libro, Şeküre afferma di aver raccontato la storia al figlio Orhan, affinché un giorno possa scriverla.
Per Silvia, invece, non può essere così, perché Orhan non potrebbe conoscere nel dettaglio i vari personaggi che appaiono nel libro.
Costanza afferma che Orhan avrebbe creato una finzione, nei capitoli in cui non parla nessuno. Una curiosità che Costanza fa presente è che la madre di Orhan Pamuk si chiama realmente Şeküre.
Altra curiosità emersa è che nei capitoli iniziali, quelli in cui Nero pone domande ai miniaturisti da parte del Sultano, vengono usate lettere lunari - Alif, Ba, Gim – per indicare le storie che i miniaturisti si accingono a raccontare.
Per quanto riguarda il titolo, il rosso è il colore della miniatura. La parola deriva dal latino minium, termine che indica la sostanza di colore rosso, che veniva usata per dipingere le iniziali dei testi.
Innanzitutto, il colore rosso di cui al titolo è collegato evidentemente alle miniature ed è ripreso costantemente nel libro, per esempio quando si dice che Nero regala a Zio Effendi un calamaio per il colore rosso. Inoltre, il colore rosso viene usato anche simbolicamente, per indicare gli omicidi avvenuti.

Voti:
- Elisabetta: 8
- Anna: 8
- Francesca: 5/6
- Costanza: 6
- Laura: 8
- Silvia: 8

Laura propone, infine, il titolo del libro oggetto del prossimo incontro:

“La pietra di luna”, di William Wilkie Collins
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Frency
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Re: VERBALI degli Incontri

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Verbale redatto da Francesca Buraschi

"La Pietra di Luna", di Wilkie Collins
Libro proposto da Laura

Marmorta, 26 maggio 2013

Partecipanti: Laura, Francesca, Giulia e Anna.
Partecipano in veste di uditori: Cecilia, Elena, Giorgio ed Elisabetta.

Laura introduce l’incontro facendo un breve riassunto del romanzo. La trama è piuttosto articolata e la si può sintetizzare partendo dal 1850, anno il cui F. Blake decide di ricostruire la storia della pietra di luna, un famoso diamante giallo di origine indiana.

La pietra di luna, sottratta dal santuario di Seringapatam da un ufficiale inglese, viene lasciata in eredità a Rachel, nipote del ladro. Da quel momento, però, il prezioso diamante sparisce misteriosamente, dando inizio ad una serie di intricate peripezie. In particolare, la sparizione della pietra di luna si verifica subito dopo la festa di compleanno di Rachel, una cena molto “movimentata” cui partecipano alcuni commensali più o meno sospettabili.

Dopo la sparizione della pietra, Rachel inizia a comportarsi in modo molto strano: abbandona la villa di campagna, se ne va a Londra e non vuole più parlare con Blake, rispetto al quale invece nutriva da sempre una forte simpatia. Questi comportamenti anomali fanno sì che Rachel appaia come una delle principali sospettate del furto del diamante. Molti sospetti, però, ricadono anche su Rosanna, una cameriera dal passato oscuro.

Quella di Rosanna è una figura molto controversa, su cui è necessario spendere alcune parole. Il motivo del suo suicidio “non sta in piedi”. Ci è sembrato (in particolare a Laura) un po’ forzato: perché uccidersi gettandosi nelle sabbie mobili per un ragazzo (Blake) che già di partenza non l’avrebbe mai corrisposta, vista la diversa classe sociale? E senza contare, tra l’altro, che i due si conoscevano da pochissimo tempo e che si trattava comunque di una conoscenza molto superficiale.

Dopo i tentativi del sergente Cuff di risolvere il caso (tentativi andati a vuoto), la situazione viene presa in mano da Ezra Jennings, il misterioso aiutante del medico di famiglia. Questo personaggio dai tratti zingareschi ricorre ad un esperimento molto originale, che consiste nel somministrare a Blake dell’oppio (già somministratogli per scherzo durante la famigerata cena di compleanno), affinché egli riviva quella notte e si comporti nello stesso modo. Riteniamo che lo stratagemma di ritornare alle stesse condizioni della notte del furto con lo specifico intento di ricostruire le dinamiche del delitto, e di scoprire così il colpevole, sia a dir poco geniale.

Da notare, per inciso, la dipendenza di Jennings dall’oppio. Nel romanzo si fa riferimento ad una non meglio definita malattia che lo affliggeva e che gli provocava un dolore tale che lo costringeva a ricorrere sistematicamente agli oppiacei. Anche lo stesso Collins, peraltro, era dipendente da questa sostanza.

Dall’esperimento emerge che quella notte il diamante fu preso da Blake. Con l’intento di metterlo al sicuro, Blake lo diede a Godfrey, il quale a sua volta lo impegnò perché aveva bisogno di denaro. Di fatto, nessuno ha realmente rubato il diamante. Godfrey, infatti, ha solo approfittato della situazione perché doveva far fronte ad una situazione economica precaria.

Ad avviso di quasi tutti i presenti, è un po’ assurdo che Godfrey sia venuto in possesso di un bene così inestimabile in modo così assurdo. Ma è proprio questa la vera versione dei fatti (pag. 512)?

Betterage, che ricalca il tipico clichè del maggiordomo inglese, regge l’intera storia. Egli dimostra di essere molto posato, ma nel contempo denota un forte humor che lo rende molto simpatico e divertente agli occhi del lettore. Il suo chiodo fisso è la lettura di “Robinson Crusoe”, libro da cui non si separa mai e in cui ricerca la soluzione ad ogni problema.

Un altro personaggio che merita attenzione e su cui si sono registrati giudizi diametralmente opposti è la signorina Clack. Per Giulia si è trattato di un personaggio divertente e simpatico, talmente eccessivo da risultare comico. Agli altri, invece, ha suscitato nervoso e fastidio: è apparsa bigotta, falsa, ipocrita e perbenista (dice che non vuole guardare, ma poi guarda di nascosto da dietro le tende; dice che non vuole ascoltare, ma poi origlia).

Quanto al sergente Cuff, egli appare a tratti come il precursore del più famoso Sherlock Holmes. O così, almeno, ce lo si aspettava in seguito ad alcune letture critiche dell’opera in oggetto. Laura, in particolare, è stata un po’ delusa in questa aspettativa: la nostra moderatrice si era prefigurata un personaggio più “scoppiettante”. Il sergente, invece, sbaglia palesemente la soluzione del caso, pur mostrando alcuni sprazzi di genialità (macchia di vernice sulla porta). A Giulia, però, è piaciuto il fatto che il sergente sia arrivato, abbia trovato con acutezza le prove e se ne sia andato (ritirandosi poi a vita privata per dedicarsi alla coltivazione delle sue amate rose). Il tutto con un pizzico di superiorità rispetto agli altri personaggi.

Potremmo definire “La pietra di luna” un romanzo corale. Esso, infatti, è suddiviso in più parti, ognuna delle quali viene raccontata da un personaggio diverso. Ogni porzione di racconto, quindi, riprende il punto di vista del singolo narratore, che è strettamente limitato a ciò che quest’ultimo ha vissuto. In questo modo, il lettore, pur immergendosi in un’unica storia, può assumere di volta in volta la prospettiva di un diverso personaggio. Il che risulta essere un artificio letterario molto innovativo per l’epoca il cui il libro è stato scritto.

Giorgio nota come da tutti i vari racconti emerga un po’ di “esasperazione dei ruoli”. Tutti i personaggi sono dipinti un po’ come delle “macchiette” (es. Betterage è il tipico maggiordomo inglese; Blake è il tipico ragazzo che ha viaggiato e i cui lati italiani (v. pag. 103), francesi e tedeschi emergono a seconda del contesto). Si tratta forse di satira? O di critica ad alcuni ruoli sociali (Laura)? La satira, del resto, è una forma di critica.

Francesca nota come tutto il romanzo sia disseminato di elementi esotici: la stessa pietra di luna, protagonista del racconto, ha origini indiane e viene gelosamente custodita in un santuario da tre bramini, che riemergono a più riprese nel racconto. Tra i commensali alla cena del compleanno di Rachel c’è anche Murthwaite (pag. 83), un viaggiatore appassionato di Oriente, che si reca spesso in India. Anche la figura di Ezra Jennings è esotica, oltre che molto misteriosa (passato tormentato e poco chiaro): i suoi tratti zingareschi (da notare la somiglianza con Heathcliff di Cime tempestose) tradiscono un’origine indiana o mediorientale. E poi c’è l’oppio, indispensabile per la soluzione del giallo, che cresce in medio oriente e nel sud est asiatico.

È presente anche il tema della superstizione, che avvolge un po’ tutto il romanzo: il diamante aveva dei poteri occulti. In particolare, avrebbe portato sventure e disgrazie a chi se ne fosse appropriato indebitamente (maledizione del diamante).

“La pietra di luna” è un romanzo che presenta molti tratti gotici (v. paesaggio delle sabbie mobili) che richiamano un po’ le opere di Ann Radcliff.


OPINIONI FINALI:
Laura: libro molto bello salvo alcuni punti un po’ forzati. Le è piaciuto lo stile del racconto a testimonianza: Collins seguiva le vicende giudiziarie e i processi dell’epoca e da qui ha evidentemente preso spunto per questa tecnica narrativa (v. La signora in bianco dello stesso Autore). Voto 8 e mezzo.
Giorgio: 8 per l’innovazione.
Francesca: bello e avvincente nella prima parte; più lento nella seconda. Del resto, Collins non aveva un progetto preciso di trama, perché si trattava di un romanzo a puntate. Questo può aver rallentato il ritmo della narrazione. 7 e mezzo.
Giulia: per lei è stato più faticoso l’inizio. Bello il racconto a testimonianza. Essendo un romanzo giallo, viene meno la trattazione di temi o tematiche specifiche. Ma questo aspetto ha anche risvolti positivi, perché consente al lettore di concentrarsi di più sul libro in quanto tale. 7 e mezzo.
Anna: 8 e mezzo per struttura e innovazione, se consideriamo che è uno dei primi romanzi gialli.

Terminati i commenti, Francesca propone il titolo del prossimo libro:Elias Portolu, di Grazia Deledda.
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Costanza
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Re: VERBALI degli Incontri

Post by Costanza »

Verbale redatto da Costanza Perri

"Elias Portolu", di Grazia Deledda

Libro proposto da Francesca

Cesta, 29 settembre 2013


Oggi domenica 29 settembre 2013 a Cesta, Verbale Bibliotè 29 settembre 2013 presso la nuova casina Buraschi/Zanettini, sono presenti: Francesca, Betta, Silvia, Cecilia, Anna, Giulia, Costanza e Guido. Alle ore 17,00 si procede alla discussione del libro di Grazia Deledda - Elias Portolu.
Cecilia introduce la discussione sintetizzando la trama del libro.
E' bravissimo (bravo Mitico).
Francesca propone di iniziare trattando la tematica della rilevanza del paesaggio nelle opere della Deledda, anche mediante confronti con la prima opera dell'autrice ovvero Canne al vento.
Ampio uso delle sinestesie e del richiamo al vari sensi: per tutti e cinque i sensi ritroviamo esempi interessantissimi. Tutta l'opera della Deledda è pervaso da sensazioni multisensoriali che conducono il lettore ad immergersi completamente nel paesaggio.
Anche i richiami ai cibi tipici della Sardegna sono frequentissimi, nonché le scene in cui i personaggi sono impegnati in cucina: è molto forte nell'autrice la tradizione culinaria. Ciò è una delle conseguenze del forte attaccamento alla sua terra, unitamente alle seguenti tematiche: il cibo, il dialetto, il paesaggio, l'accuratezza nella descrizione dei luoghi.
Altra tematica forte è quella dell'uomo abbandonato al suo destino/sorte/Provvidenza.
Secondo Betta tutto il libro è impermeato dalla ineluttabilità del proprio destino. Esempio: fragilità dell'uomo che è come una canna al vento, abbandonato al suo destino ed incapace di modificarlo.
Francesca richiama un passo di Canne al Vento esemplificativo di questa poetica della Deledda: la rassegnazione umana innanzi ad un destino ineluttabile, non sempre felice e positivo.
Anche nell'Elias Portolu questo tema è molto forte e si estrinseca altresì nell'atteggiamento del protagonista che come una canna al vento assume atteggiamenti contrastanti, è incoerente, dice che vorrebbe comportarsi in un modo ed invece fa l'esatto opposto.
I personaggi ci sembrano quasi mutilati, anche loro incoerenti rispetto a ciò che sembrerebbero essere all'inizio.
Altro tema è la commistione tra sacro e profano. Anche in Canne al vento è accentuata la presenza di spiritelli, vampiri, folletti, spiriti maligni, fate, cavalli grandi e verdi, spiriti maligni che si uniscono ai bambini non battezzati. In Elias Portolu vengono mescolati elementi di medicina, magia e religione. Anche la scena del carnevale e la rievocazione del maligno si inserisce in questa tematica. Al collo del bimbo vengono appesi piccoli amuleti di corallo, dati gli effetti terapeutici e apotropaici che una tradizione attribuisce a questo elemento. O ancora le cosiddette "parole verdi" cui si riferisce la madre di Elias per consultare il futuro.

Forte conflitto morale, tormento interiore che caratterizza l'intera opera e soprattutto il protagonista (esempio il rapporto contrastato con Madalena); il suo rodimento interiore diviene anche malessere fisico. Nonostante i rari momenti di felicità, Elias rivela un costante sentimento di angoscia. Nella scena in cui Elias vaga per il paesaggio circostante, sembra quasi che questi si confonda con la natura circostante, immergendosi in quei luoghi e fondendosi con essi (paesaggio/stato d'animo/eroe romantico).


Similitudini e metafore tra uomo ed animale e quindi alla natura ed al suo aspetto faunistico.
Questo attaccamento alla natura è molto avvertito dalla popolazione sarda.


Altro tema è quello del forte senso di appartenenza alla famiglia: l'unità familiare è anche forza che recepiscono i suoi componenti.


Finale tragico e secco: la morte del figlio come liberazione e acquisizione della pace interiore per Elias.

Ci poniamo il problema di quale sia stato il reale sentimento di Elias per Maddalena.


Per Cecilia il realismo della trama si sposa perfettamente con la fiaba.
Ciò si riscontra nel ruolo di alcuni personaggi, nel contesto naturalistico e magico delle tradizioni. Molte le componenti fiabesche che emergono nel romanzo.


Giulia h notato in merito al linguaggio e all'uso del dialetto che l'uso della consecutio è particolare. Nei discorsi diretti si avverte moltissimo l'influenza della lingua sarda usata per accentuare il realismo delle conversazioni.
Ci sono diverse ripetizioni, di concetti, di medesime espressioni.

Votazioni:
Cecilia e Francesca 8, è piaciuto anche se in sè la trama è piuttosto tragica. E' scritto molto bene e non è affatto pesante, anzi è scorrevole.
Giulia: 7 e mezzo: la storia non è piaciuta, non è noiosa e premia di più lo stile, la scrittura rispetto alla trama.
Betta: 8 è piaciuto moltissimo.
Silvia: 7, è piaciuto nonostante la trama sia un pò noiosa e tende ad esasperare.
Costanza e Anna: non hanno finito il libro e si riservano, sicuramente lo termineranno

La discussione viene terminata alle 18.30.
Quindi ...... ora si mangia!!!!!!
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Frency
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Re: VERBALI degli Incontri

Post by Frency »

Integrazione al verbale relativo all'incontro su "Elias Portolu", di Grazia Deledda

Descrizioni paesaggio – 5 sensi

Il richiamo vibrato dell'assiuolo (tipo civetta), la selvatica fragranza del timo, l'aspro odore del lentischio, il lontano mormorio dei boschi solitari, si fondono in un'armonia monotona e melanconica, che dà all'anima un senso di tristezza solenne, una nostalgia di cose antiche e pure. (p. 20-22)

L'assiuolo riprende il suo grido prolungato,cadenzato, vibrato nel silenzio infinito delle macchie.
Nelle notti fragranti di lentischio, nei lunghi giorni
luminosi, esso è il re della solitudine, esso solo
impera, e il suo grido melanconico pare la voce sognante
del paesaggio. (p. 41)

Ecco, ora Elias è finalmente nella sconfinata solitudine
della tanca, animata solo da qualche grido, da
qualche fischio di pastore, dal tintinnio delle greggie e
dal muggito degli armenti. Folti boschi di soveri si
profilano sull'orizzonte, chiudendo lo sfondo sereno del
cielo. La tanca dei Portolu era stata anni prima
diboscata, e adesso stendevasi aperta, vasta, battuta dal
sole. Solo qualche sovero qua e là sorgeva fra il verde
delle erbe, delle macchie, dei rovi; nelle distese umide
la vegetazione era morbida e delicata, profumata di menta
e di timo. I pascoli lussureggianti, al cader della
primavera, prendevano un verde dorato luminoso: i cardi
aprivano i loro fiori d'oro e di viola, i rovi sbattevano
le loro rose selvatiche. Solo sotto gli alberi e nelle
distese umide l'erba restava verde e fresca. La <I>tanca</I>, sebbene piana e senza bosco, aveva recessi
secreti, roccie e macchie; il corso d'acqua in certi
punti scorreva fra boschetti di sambuchi, dove il sole
appena penetrava, formando laghetti verdi e misteriosi,
circondati e tramezzati di roccie, sulle quali l'acqua
infrangevasi mormorando. Lungo le rive, per largo tratto,
la vegetazione si conservava fresca e morbida: di notte
l'odore dei giunchi e delle mente era quasi irritante.
(p. 45)

Il sole era tramontato, e i boschi e le lontananze tacevano sotto il cielo tutto roseo, d'un roseo denso quasi violaceo; tutta la tanca, le macchie lucenti, l'erba immobile, le roccie e l'acqua riflettevano quella calda luminosità di rosa peonia
: era una pace quasi religiosa, come di chiesa illuminata
dai ceri accesi. (p. 53)

Intorno era lo stesso silenzio, puro, infinito; il
tramonto accendeva le estreme cime del bosco, una gazza
cantava in lontananza (p. 55)

Il ruscello lì accanto mormorava fra i giunchi; una
brezza piacevole serpeggiava fra i sambuchi e le alte
erbe destandovi lunghi fruscii. Vaghi rumori, sfumati,
vicini, lontani, animavano la tanca, sotto la
cerula luminosità del puro mattino.



Cibi e tradizioni– lingua sarda
Elias, silenzioso ma non triste, distribuì i
<I>corcarjos</I> (cucchiai) [10] d'unghia di pecora, e zio Portolu sturò i <I>malunes</I> (recipienti di sughero)[11] pieni di giuncata e di latte.

la prioressa aveva diviso il pane e le provviste avanzate e l'ultima caldaia di <I>filindeu</I> (minestra fredda)[9] tra le famiglie della grande <I>cumbissia</I>.

Zia Annedda intanto continuava i suoi preparativi: fece
del pane speciale, biscotti, dolci di mandorle e miele;
comprò caffè, rosolio, altre provviste.

fave bollite col lardo, e <I>cattas</I>, specie di frittelle di pasta lievitata, con uova, latte e acquavite



TOPOS: Idea dell’uomo abbandonato al suo destino-sorte-provvidenza (v. Canne al vento)
Io non ti sconsiglio se tu hai la vocazione, ma
ti dico che neppure ciò ti salverà. Uomini siamo, Elias,
uomini fragili come canne; pensaci bene. (p. 55)

«Il fatto che ti ho raccontato», aggiunse il vecchio,
«non ha, certo, confronto con la tua storia; ma dimostra
egualmente come al disopra di noi ci sia una forza che
noi non possiamo vincere. Tuttavia se tu puoi, Elias Portolu, cerca di fare qualche cosa! (p. 56-57)(storia di zio martinu che doveva uccidere un uomo, ma fu fermato dallo sguardo onesto di quest’ultimo)
…poi prese il foglio, la penna, iltubolo, rimise tutto nel nascondiglio, e ritornò verso la capanna. Non poteva vincer la forza superiore di cui gli aveva parlato zio Martinu. - rassegnazione


p. 240, Canne al vento
Perché la sorte ci stronca così?
Efix: Sì, siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento
Ester: Sì, va bene: ma perché questa sorte?
E il vento perché? Dio solo lo sa
Sia fatta allora la sua volontà  rassegnazione

p. 244 ….Chi si piega e chi si spezza, chi resiste oggi ma si piegherà domani e posdomani si spezzerà…  rassegnazione



COMMISTIONE SACRO E PROFANO
CRISTIANESIMO – BIBBIA –SANTI VS MAGIA-SPIRITI-PAGANESIMO

Sottolineato=religione
Grassetto=magia, paganesimo

Credeva ai morti e agli spiriti erranti; e nelle lunghe notti della <I>tanca</I>, seguendo il gregge aveva più volte impallidito sembrandogli di veder guizzi misteriosi nell'aria, animali strani che passavano di corsa senza destare alcun rumore, e nella voce lontana del bosco, in quella immensa solitudine di macchie e di roccie, sentiva spesso lamenti arcani, sospiri e suSsurri (P. 72)

v. canne al vento
“Efix sentiva il rumore che le panas (donne morte di parto) facevano nel lavar i loro panni giù al fiume, battendoli con uno stinco di morto, e credeva di veder l’ammattadore, folletto con 7 berretti entro i quali conserva un tesoro, balzar di qua e di là sotto il bosco di mandorli, inseguito dai vampiri con la coda di acciaio. Era il suo passaggio che destava lo scintillio dei rami e delle pietre sotto la luna: e agli spiriti maligni si univano quelli dei bambini non battezzati, spiriti bianchi che volavano per aria tramutandosi nelle nuvolette argentee dietro la luna: e i nani e le janas, piccole fate che durante la giornata stanno nelle loro case di roccia a tesser stoffe d’oro in telai d’oro, ballavano all’ombra delle grandi macchie di filirèa, mentre i giganti s’affacciavano fra le rocce dei monti battuti dalla luna, tenendo per le briglia gli enormi cavalli verdi che essi soltanto sanno montare, spiando se laggiù fra le distese d’euforbia malefica si nascondeva qualche drago o se il leggendario serpente cananèa, vivente fin dai tempi di Cristo, strisciava sulle sabbie intorno alla palude.
Specialmente nelle notti di luna tutto questo popolo misterioso anima le colline e le valli: l’uomo non ha diritto a turbarlo con la sua presenza, come gli spiriti han rispettato lui durante il corso del sole, è dunque tempo di ritirarsi e chiuder gli occhi sotto la protezione degli angeli custodi”.

Commistione sacro e profano; tutti gli spiriti hanno dei nomi propri (l’autrice non li ha inventati, ma probabilmente le sono stati tramandati fin da piccola e fanno parte della cultura sarda)



Farò venire tua madre, ti farò tornare con essa in paese; ed essa ti metterà a letto e ti farà le medicine con le erbe, col sale, con le sante medaglie, come essa le sa fare. (sacro e profano; medicina (scienza) e magia…)(p.60)

…credendo ch'egli avesse «preso qualche spavento» gli aveva preparato e fatto bere un'acqua speciale, poi gli aveva appeso al collo una medaglia santa, aveva acceso la lampada a San Francesco, e infine aveva pronunziato le <I>parole verdi</I>, scongiuro per sapere se il malato doveva vivere o morire.
Le <I>parole verdi</I> avevan risposto ch'egli doveva
vivere; San Francesco sia lodato e Dio sia benedetto in
tutte le sue sante volontà. (p.65)


zio Portolu, attraversando la <I>tanca</I>, lo vide
appollaiato su una roccia, in contemplazione della luna.
«Che egli faccia delle magie? Che mediti un delitto? Che
voglia farsi frate?»

Zia Annedda…pregava scongiurando la tentazione che poteva travolgere i suoi figliuoli mascherati (per lei la maschera era un simbolo del demonio); e all'irrompere della compagnia trasalì lievemente. Forse un maligno spirito interno le sussurrava che la sua preghiera era vana; che il demonio vinceva, che col rientrare dei suoi figliuoli mascherati, il peccato mortale entrava nella casetta sin allora pura. (p. 83)

La luna passava tra i rami, limpida, tranquilla; negli sfondi d'argento altri profili di boschi si disegnavano neri come montagne. Pareva la selva dei racconti delle fate. (p. 89)

…e ilbimbo, quando la madre gli faceva danzar davanti al
visetto gli amuleti di argento e corallo appesi al suo
piccolo collo, alzava le manine di rosa e sorrideva
socchiudendo gli occhi verdognoli luminosi (p. 106)

Grazie alla sua forma, al suo colore e alla sua misteriosa capacità di indurirsi al contatto con l’aria, il Corallo nell’Antica Roma aveva assunto proprietà curative e apotropaiche.
Era infatti consuetudine far indossare ai neonati dei pendenti formati da rametti di Corallo e somministrare come medicinale la polvere da essi ricavata per la prevenzione e la cura delle crisi epilettiche, degli incubi e dei dolori della dentizione.
Il significato del Corallo come amuleto specifico dell’infanzia venne conservato anche durante il Medioevo e il Rinascimento.
Lo troviamo perfino indossato dal Bambino Gesù in quadri di devozione privata, probabilmente legati alla nascita di un bimbo, come potrebbe essere stata la “Madonna di Senigallia” di Piero della Francesca.
La sua somiglianza con la forma e il colore dei vasi sanguigni, unita alla sua capacità di solidificarsi, lo fece diventare in queste epoche anche una cura per le emorragie e le anomalie del ciclo mestruale e un coagulante per ferite, ulcere e cicatrici attraverso l’azione della magia simpatica.
Le sue caratteristiche morfologiche lo resero inoltre una protezione contro il fulmine e il pericolo di morte improvvisa, specialmente degli infanti.

…zia Anneda aveva acceso due lampade e detto le <I>parole verdi</I>; e le <I>parole verdi</I> avevano risposto che Pietro doveva morire (p. 110)
FORTE CONFLITTO MORALE
Elias non aveva più riveduto zio Martinu, e non cercava di rivederlo; ne aveva quasi paura, perché invece di conforto il vecchio, che pure passava per un sapientone, gli aveva messo l'inferno nell'anima.
«E s'egli avesse ragione?», si chiedeva talvolta; ma
tosto si ribellava a questo pensiero, anche perché
sentiva di non aver la forza di agire, di muoversi,di
rivelare il suo segreto, e soprattutto di attraversare la
felicità di Pietro.
Ma il ricordo e il desiderio di Maddalena e il pensiero
che fra poco ella sarebbe inesorabilmente perduta per
lui, lo struggevano. Cercava di combattere contro il suo
cuore e contro i suoi sensi, di ridersi della sua
passione, di essere forte come zio Portolu voleva; che
diavolo! ce ne son tante donne nel mondo; eppoi si può
vivere anche senza di esse, anche senza amore; anzi un
uomo veramente uomo deve ridersi di queste cose!(p.58)

RODIMENTO MORALE CHE DIVENTA DOLORE FISICO (febbre, insonnia, “si sentiva deperire anche fisicamente…)

La felicità però,se felicità poteva dirsi, non andava mai separata da un senso d'angoscia, mentre nei momenti, ed erano i più, nei quali il dolore del delitto commesso vinceva, nulla valeva a raddolcirlo.
La parte buona e credente dell'anima di Elias si
ridestava tutta d'un tratto, in quell'alba quaresimale
triste e minacciosa, e si smarriva e si atterriva davanti
alla realtà del fatto compiuto. (p. 86)


FORTE SENSO DELLA FAMIGLIA E DI CONTINUITA’ DELLA PROPRIA STIRPE: zio Portolu teme che il figlio sia malato e vorrebbe piuttosto che S. Francesco portasse via lui

Zio Portolu che va fiero dei suoi figli, forti come leoni(ora che Elias è tornato, nessuno ci può fare niente; unità familiare=forza)

Lo stesso conflitto interno di Elias è così forte e violento perché lui sta tradendo il fratello e quindi la sua stessa famiglia e il suo stesso sangue


PAESAGGIO – STATO D’ANIMO (EROE ROMANTICO)
PAESAGGIO CHE DIVENTA UN TUTT’UNO CON IL PERSONAGGIO

…e andava, andava sempre, su per quelle roccie che gli davano un senso di spavento, di raccapriccio, in quel chiarore livido di luna invisibile che lo circondava d'una luce strana, più triste e spaventosa delle tenebre. Quanto tempo durò quella sua lotta immane contro le roccie, i cespugli, i cardi,quella sua ira indistinta, quel suo spasimo opprimente, quella sua paura di invisibili mostri, di quella luce orrenda, non seppe precisarlo mai. Altre visioni non meno mostruose, ma confuse, incalzanti, che s'intrecciavano,
si dissolvevano, ritornavano, come nuvole spinte dal
vento, lo avvolsero, lo torturarono. (P. 62)

…zio Martinu, quel vecchio pagano, la cui rigida figura dominava e nello stesso tempo formava una cosa stessa col forte triste e fatale paesaggio (p. 76-7)


Elias aveva in volto il colore di quel cielo lividognolo, e gli occhi cerchiati, verdi, freddi e tristi come l'acqua dei rigagnoli. (p. 86)

FINALE TRAGICO E “SECCO”

MORTE DEL FIGLIO - LIBERAZIONE INTERIORE PER ELIAS, CHE COSI’ SENTE DI NON AVERE PIU’ LEGAMI TERRENI. E MADDALENA?? NON RESTA UN LEGAME TERRENO? CHE AMORE ERA ALLORA?
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Anna
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Re: VERBALI degli Incontri

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Verbale redatto da Anna Vaccari

“Otto personaggi in cerca con autore”, di Björn Larsson
Libro proposto da Costanza

Ferrara, 2 febbraio 2014

Partecipanti: Giulia, Elisabetta, Laura, Anna, Cecilia (uditrice), Francesca (uditrice).

La discussione si apre con la richiesta della Mediatrice del “Vi è piaciuto?” che ha ottenuto un parere positivo da parte di tutti tranne che di Anna la quale ha trovato il libro un po’ pesante. Costanza passa quindi a riassumere in generale i vari personaggi protagonisti dei rispettivi racconti ambientati in Svezia.

Il Filologo si trova nelle mani l’oggetto dei suoi studi di una vita, ciò che potrebbe rivoluzionare l’intera materia, ma a una pagina di manoscritto dalla soluzione del mistero del Graal si ferma poiché capisce che “il torto più grande che potesse fare alla filologia era dare una risposta all'enigma che aveva sfidato esegeti e artisti per più di otto secoli”. All'interno del racconto de Il Filologo si trova un riferimento all'ex Primo Ministro svedese Olaf Palme, assassinato nel 1986 e si coglie l’occasione per un breve excursus sul sistema giudiziario svedese.

La Genetista concentra le sue ricerche di post-dottorato sull'omosessualità, vuole scoprire se la causa si trova nei geni o si sviluppa in conseguenza dell’ambiente. Il tema di ricerca le si presenta alla scoperta che il cugino di secondo grado è “il finocchio di famiglia”. Al termine delle sue lunghe ricerche arriva ad affermare che l’inclinazione sessuale non è di origine genetica, ma è determinata fisiologicamente e così, contemporaneamente, svanisce ogni sua speranza di riconversione del cugino omosessuale, del quale nel frattempo si innamora. Alla pubblicazione dei risultati su Nature le arriva una lettera del cugino che le annuncia di essersi innamorato….di una donna! Si rilegge insieme la lettera.

Il Linguista si concentra sulla matrice comune di tutte le lingue, sostenendo e approfondendo la parte di grammatica e sintassi detta generativista. È un personaggio molto solo, che studia le profondità del linguaggio ma allo stesso tempo non si dimostra comunicativo verso gli studenti e quindi non particolarmente ben visto dagli altri professori, dato che il suo corso si rivela essere un ostacolo al percorso di studi e quindi negativo in merito a finanziamenti e prestigio dell’Università. La sua fine è triste ed opposta rispetto a quella del Filologo: per presentare i risultati di decenni di ricerche dimostra di poter sconfessare tutta la teoria e i colleghi gli si ribellano contro. Lettura insieme dell’ultimo paragrafo p.66.

La Cosmologa è uno dei racconti che ha riscosso più successo nelle lettrici racconto, in quanto è la protagonista, Petra, è l’unica che trova una nuova vita e affronta il più forte e coraggioso cambiamento (si legge insieme l’ultimo paragrafo), il bambino la riporta dal Cielo sulla Terra (p.92) ed è proiettata alla vita che ha creato. In questo racconto si sottolinea il pensiero profondo del professore mentore di Petra (p. 89) riguardo all’essere umano che si ritrova a dover cercare l’equilibrio tra il presente e il futuro: deve saper resistere alle pulsioni del presente per costruire un futuro grandioso, ma allo stesso tempo non ci si può dedicare al futuro sacrificando il presente.

Lo Speleologo si può riassumere in tutti i modi possibili, ma solamente leggendolo si può cogliere a fondo l’atmosfera di angoscia e tensione che lascia.

Il Virologo. Si affrontano due personaggi: il ricercatore arrivista, stakanovista e spregiudicato Birger Holmgren che in vista del Nobel sacrifica la famiglia e tutta la vita, e il suo assistente Joe Karlsson, di origine americana, che si vede licenziare per aver obiettato di non voler mettere in pericolo la vita di suo figlio neonato per la causa della ricerca. Il Nobel verrà vinto da Karlsson, come se l’autore volesse sbeffeggiare Holmgren infliggendogli una sorta di legge del contrario.

La Filosofa. Ulla Lind è una filosofa atea e razionalista che basa la sua ricerca sulla contrapposizione tra scienza e fede, che a inizio racconto esordisce a una conferenza con un intervento sull’etica della scienza. L’incontro con un teologo, che era tra il pubblico, la spinge a fare un viaggio in Italia con destinazione un convento a Santa Maria di Leuca, toccasana per la riflessione interiore. Non arriverà a Santa Maria di Leuca, ma si fermerà a Otranto dove scoprirà il capolavoro “L’albero della vita” e un inaspettato incontro con Dio. In questo racconto vi sono moltissimi riferimenti ai luoghi e agli usi d’Italia.

Il Chimico. Un promettente giovane chimico, Love, al primo giorno di Università rimane colpito dal professore di chimica inorganica, prof. Berzelius. Al completamento del suo corso di studi si ritrova dottorando nonché prosecutore degli studi del prof. Berzelius. Le ricerche di Love, aiutato dall'assistente Anastasia di cui si innamora, saranno così proficue da trovare la confutazione delle teorie del professore. Qui si trova il tema del “conflitto” dei e tra i ricercatori: pubblicare o meno questa sensazionale scoperta? Informare il professore? Come la prenderà? Gli interrogativi verranno dipanati dalla serenità e dall'umiltà di Berzelius, che si mostra comunque contento e soddisfatto del lavoro del suo dottorando.

L’Autore. Un professore sulla cinquantina si ritrova con il blocco dello scrittore e alla soglia di una leggera depressione dopo quattro anni di tentativi di scrittura “del libro migliore che fosse in grado di scrivere”. Ossessionato dall'incapacità (dimostrata) di poter scrivere un capolavoro, si dedica allo studio di Flaubert e in particolare alla ricerca del quaderno di appunti che egli aveva usato durante la scrittura di Madame Bovary. In questo racconto si ritrovano cenni dei racconti precedenti (Il linguista, La filosofa, Il filologo) e il tema della buona e bella letteratura, sintetizzati dalla Ricetta per un capolavoro che Flaubert destina ai colleghi scrittori (p. 220).

Tutti i protagonisti sono ricercatori di temi diversi a seconda della didattica, ma mostrano atteggiamenti comuni: tutti tendono a loro modo a esularsi dalla realtà concentrandosi esclusivamente sul loro tema di ricerca, sono molto ambiziosi nel loro lavoro e seguono solo il loro personale obiettivo, puntando sempre al grande, sognano e si preparano per il momento di successo quando il pubblico verrà a conoscenza delle loro sensazionali e rivoluzionarie scoperte. In molti casi però si ritrovano a rinunciare al “grande” per salvaguardare il piccolo. In ogni racconto si trova una morale. Si riconosce il forte tema della solitudine e dell’isolamento di ognuno di questi ricercatori, viene affrontato il tema della condivisione dell’esperienza e dei risultati scientifici, che spesso diventano oggetto di diatriba e contenzioso. In alcuni racconti si trova anche la tematica del conflitto tra scienza e fede, soprattutto in ambito medicale-biologico e cosmologico. In generale nel romanzo si percepisce una forte polemica con il mondo accademico, si sottolineano i rapporti spesso conflittuali e di rivalità tra i ricercatori e i professori, prevale la prosopopea della propria disciplina su tutte le altre.
Per Laura tutti i racconti hanno un sapore amaro, in particolare Lo Speleologo e il Chimico, ma in ognuno vi è una lezione da imparare anche ne Il Virologo, il quale trova la dignità in sé stesso. Rafforza il giudizio Costanza sottolineando che si ritrovano tutti personaggi positivi.
Il Titolo è simpatico e accattivante, magari un poco pretenzioso in quanto nulla ha a che vedere con gli Otto personaggi in cerca di autore di Pirandello, ma calza perfettamente con il tema della ricerca. Il libro è dedicato a Primo Levi, per la sua figura di scienziato e letterato. Ci sono molti riferimenti alle città italiane per l’arte e la cultura, l’autore le inserisce come luoghi di convegni (Torino per il Linguista e Otranto per la Filosofa) o di ricerca (Roma i Musei Vaticani per il Filologo).

Voti. Elisabetta 7.5, Giulia 7, Costanza 7, Laura 7, Anna 6.5. Media 7.
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Giorgio
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Re: VERBALI degli Incontri

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Verbale parziale per mancanza di dati

Ferrara, 31 maggio 2014
"Il Diario di Jane Somers", di Doris Lessing
lettura proposta da Anna

Partecipanti:
Frency, Elena, Ansi, Giulia, Giorgio, Ceci (che non ha terminato il libro)

L’incontro inizia con l’intervento dell’ospite, Ansi, che apre con un breve riassunto. La vicenda appare ambientata all’inizio ai nostri giorni, e un indizio chiave è la presenza di figure femminili fortemente emancipate, tuttavia man mano che si procede con la lettura si tende a spostarla indietro di qualche decennio, probabilmente attorno agli anni ’80. Elena interviene a favore di questa ipotesi, facendo notare come il livello di stress che appare nei personaggi è troppo basso perché possano appartenere verosimilmente a questi anni.

La struttura del libro è atipica, trattandosi di un diario ma non diviso in capitoli, e il titolo tradotto in italiano travisa completamente quello originale. I personaggi sono praticamente solo femminili, e la narrazione avviene in prima persona, con tratti di flusso di coscienza. Il flusso narrativo non è quasi mai continuo, ma al contrario sono presenti numerosi salti temporali, di varia entità, con occasionali cambi di punto di vista. Pare particolarmente strana la scelta di non aver dato alcuna data o alcuna struttura alla narrazione se relazionata alla figura della protagonista: meticolosa, attenta, in conclusione piuttosto fredda.

La discussione si sposta quindi proprio sulla protagonista: Frency legge ad alta voce un estratto a pag. 9, a dimostrare quanto ella fosse fortemente ambiziosa ed attaccata al successo. L’opinione generale sulla “conversione” che subisce di punto in bianco, in farmacia, è che rappresenti un passaggio un po’ sforzato, non si capisce se causato da qualche residuo senso di colpa o da un embrione di cambio di coscienza. Giorgio osserva che questa ambiguità è possibilmente voluta, per lasciare questo evento aperto all’interpretazione del lettore. Giulia d’altro canto afferma che Janna, la protagonista, si pone delle domande (cfr. pag. 27), ma non sembra aver rimpianti e traspare una sostanziale soddisfazione del suo stile di vita. A questo Frency obietta che lo stesso sviluppo della trama sottintende probabilmente il contrario. Elena infine ricorda che gioca un ruolo non trascurabile nella vicenda anche l’oggetto dell’attenzione di Janna, Maudie, il cui fascino è percepito non solo dalla protagonista ma anche da altri personaggi.

Ansi apre quindi la riflessione su uno dei temi principali del libro: la vecchiaia, sottolineando quanto sia trattata approfonditamente e a tutto tondo. Emblematico in tal senso, interviene Ceci, è il punto in cui appare la doppia descrizione della medesima giornata, dal punto di vista di Janna e di Maudie. Pesano molto in questo libro i non detti, sia tra Janna e Maudie, sia tra Janna e Joyce, l’amica/collega/capo, specialmente dopo il trasferimento di quest’ultima in America.
Janna, attorniata da donne che hanno una famiglia ma che le appaiono infelici, trova quindi un espediente a questa sua necessità (e ai suoi sensi di colpa) nel curarsi di Maudie. E in questo lotta contro tutto e tutti, senza peraltro riuscirci, per essere considerata come un’amica della signora e non una buona vicina, come vengono chiamate le volontarie che si occupano dei bisognosi, spesso anziani, che abitano soli. Nessuno le crede. Il personaggio della buona vicina Vera Rogers non viene descritta in modo positivo dalla protagonista, che le appioppa un emblematico “taglia 38”.

In definitva, Frency afferma che Doris Lessing ha una grande capacità di descrivere con poche parole un personaggio, così come gli ambienti, per quanto non contestualizzati, sono resi in modo molto efficace. Il pensiero è condiviso da tutti i presenti. Ansi osserva, riguardo a questa osservazione, come tutti i sensi vengano coinvolti in queste brevi pennellate descrittive, formando uno stile complesso per un romanzo di sole 250 pagine e contribuendo a rendere il libro bello ed avvincente nonostante una quasi totale mancanza di trama.

[...]
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Cecilia
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Re: VERBALI degli Incontri

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Verbale redatto da Cecilia Buraschi
Ferrara, 5 ottobre 2014
Venticinquesimo incontro


Cuore di cane” di Michail Afanas'evič Bulgakov

Libro proposto da Giorgio Sacchi

Partecipanti al circolo presenti: Cecilia Buraschi, Francesca Buraschi, Silvia Callegari, Elena Lavezzi, Giulia Pasquali, Giorgio Sacchi, Anna Vaccari (uditrice), Valentina Corazzari.

• Si rinnova l’ordine dei partecipanti al circolo per quel che riguarda la proposta dei libri:
1. Francesca
2. Anna
3. Giorgio
4. Cecilia
5. Elena
6. Elisabetta
7. Giulia
8. Silvia
9. Laura
10. Valentina ( a partire dal terzo incontro, e secondo tale lista, potrà proporre il libro)

• Perché è stato scelto il libro “Cuore di cane”
Giorgio non ha letto nessun libro di Bulgakov prima di “Cuore di cane”, perciò ha colto l’occasione del circolo per sperimentare l’autore. A posteriori ci comunica che la lettura si è rilevata una bella sorpresa dal momento che lo scrittore ha dato prova di essere una persona colta ed arguta.

• Breve trama del libro, raccontata da Giorgio
Siamo nella Mosca degli anni ’20, la distinzione delle classi sociali è una caratteristica della società molto forte. Un cane ustionato da un cuoco giace in punto di morte. Un signore lo “salva”, nutrendolo, curandolo e accogliendolo presso la propria dimora. Il cane è un essere privo di principi morali, pratico e disilluso. Dopo essere guarito, il cane subisce un intervento chirurgico (la sua ipofisi viene sostituita da quella di un umano) da parte del signore che l’ha curato, in seguito al quale si trasforma in un omuncolo. A partire da questo episodio, il libro divento un diario clinico, che descrive le conseguenze dell’intervento. Dal momento che l’ipofisi impiantata era quella di un ladro di bassa estrazione sociale, il cane-uomo assume comportamenti bruschi, sgarbati e il suo linguaggio è ricco di bestemmie e turpiloqui. L’omuncolo, “Pallino”, piano piano interagisce con le persone e inizia ad entrare in contrasto con i suoi creatori. La coscienza di sé, che comincia ad acquisire, lo spinge a iscriversi ai movimenti proletari (il comitato degli inquilini), presso i quali trova supporto nella lotta contro lo scienziato e i suoi aiutanti che l’hanno trasformato. Dal momento che per questi ultimi la situazione diventa insostenibile, essi rapiscono Pallino e lo rioperano. Il comitato degli inquilini, vista la sparizione del loro compagno, cercano in lungo e in largo Pallino, ma ciò che trovano presso la casa dello scienziato non è altro che un cane.

• Impressioni sul libro

o Romanzo del Novecento – la trasformazione: La vicenda dell’intervento che trasforma il cane in uomo risulta avere molte affinità con i racconti “Frankenstein” e “Dracula” (esempi di romanzi del Novecento). Ma nella trasformazione del cane in uomo è lo spirito umano che si abbassa a cane [Francesca], al contrario di quanto avviene in “Frankenstein”, in cui l’uomo è considerato nobile poiché è colui che riesce a creare la vita a partire dal nulla. In realtà in “Cuore di cane” lo specifico uomo (cui appartiene l’ipofisi) è “sbagliato” a causa dell’estrazione sociale, cosa che sottolinea ancora una volta la contrapposizione di classi sociali. Infatti la cattiveria del cane-uomo deriva dall’uomo e con ciò l’autore vuole comunicare che l’uomo è peggiore dell’animale [Trasponendo il discorso uomo-animale alla società di oggi, Francesca riscontra un’antropomorfizzazione degli animali]

o Autore-società (inquadramento storico): Il romanzo è crudo e derisorio. Il tono utilizzato non è drammatico. Non esistono personaggi positivi, cosa che sottolinea la critica feroce dell’autore verso la società del suo tempo. I personaggi vengono, inoltre, derisi. Storicamente Giorgio ha verificato che il romanzo è stato scritto durante l’instaurazione della NEP (“Nuova politica economica”), voluta da Lenin per risollevare la nazione dalla crisi economica cui era affetta. Si trattò di una fase di transazione, caratterizzata da riforme economiche in parte orientate al libero mercato. Tale politica venne, poi, abolita dal successore Stalin, che instaurò il regime comunista. I quegli anni l’Europa era depressa e debole perché costellata da numerosi governi diversi tra loro. Le persone, alla ricerca di punti di riferimento, si affidavano ai leader, poiché in questi trovavano delle guide forti (Spagna -> Franco, Germania -> Hitler, Italia -> Mussolini, Russia -> Lenin/Stalin).

o Tecniche descrittive: i personaggi sono grotteschi e rappresentano le diverse fasce sociali della società. Anche i clienti che si recano presso il dottore vengono dipinti in maniera agghiacciante, così come i proletari che vengono raffigurati come poveri di spirito. Le descrizioni si concentrano sui particolari, come esempio si pensi all’uso del nome delle vie che punta ad accrescere il coinvolgimento del lettore.

o Linguaggio e stile: Giulia ha riscontrato una difficoltà nella lettura del libro dovuto al fatto che nei dialoghi non era chiaro chi fosse la persona che stesse parlando. Inoltre in alcune edizioni, i nomi e le frasi più importanti sono riportate nella lingua originale e fanno riferimento a note molto lunghe. Relativamente a queste, è curioso scoprire che la tecnica utilizzata per dare una connotazione negativa al regime è l’utilizzo di parole “diavoleggianti”, ovvero legate al diavolo e al satanismo. Un’altra curiosità è legata al nome del cane: in russo è “Šarik”, cioè il classico nome utilizzato per nominare un cane. In italiano tale appellativo è stato tradotto in “Pallino”, anche se in alcuni edizioni è stato utilizzato il nome originale. L’impressione di Giulia è che il linguaggio/stile sfoci in un eccesso di laboriosità.
Anche dal punto di vista stilistico/narrativo è chiara la volontà dell’autore di dare all’uomo una connotazione negativa, infatti il gruppo concorda sul fatto che ciò che rimane come ricordo del racconto, a distanza di tempo, è il pensiero antipatico nei confronti dell’uomo e compassionevole nei confronti del cane.

o Diavolo-Religione: oltre al linguaggio “diavoleggiante”, si nota anche come la figura del dottore possa essere paragonata a quella del sacerdote, così come la preparazione dell’intervento chirurgico ricorda un sacrificio pagano.

o Scienza positivista: oltre alla società, la critica è anche verso la scienza positivista che trapela da rapporto dottore-assistente e dal loro operato. Giocando con la natura, l’autore mostra che non si ottiene niente né di nuovo né di buono. Se l’ipofisi fosse stata quella di una persona nobile e colta, non si sarebbe creato altro che quello che una donna può fare mettendo al mondo un uomo intelligente.

o Ruolo della donna: gli unici ruoli associati alla donna sono quelli di domestica e “sforna figli”. La donna è vista come un accessorio. In realtà questa visione della donna non rappresenta né una denuncia, né una volontà dell’autore, dal momento che nella società del tempo la donna aveva esclusivamente le suddette “funzioni”. Anche se nell’opera “Il maestro e Margherita” la donna ha un ruolo molto importante.

• I partecipanti all’incontro hanno successivamente espresso un giudizio in merito al libro, attraverso un voto:
- Francesca: 7.5 Originalità dell’autore, in modo geniale denuncia situazioni reali.
- Cecilia: 7. Originalità dell’autore e temi trattati.
- Giulia: 7. Temi trattati e spunti di riflessione.
- Silvia: 8. Capacità di rappresentare teatralmente la scena.
- Elena: 6.5. Difficoltà di lettura nella parte antecedente l’intervento (non chiari i soggetti che dialogavano), scarso coinvolgimento emotivo.
- Giorgio: 7.5. Numerosi spunti di riflessione, contesto storico, ma stile ridondante e scarsamente fluido.

Infine Cecilia ha annunciato il titolo del libro oggetto del prossimo incontro: “La strada” di Cormac McCarthy.
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Elena
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Re: VERBALI degli Incontri

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Verbale redatto da Elena Lavezzi

“La Strada” di Cormac McCarthy
Libro proposto da Cecilia Buraschi

Cesta, 31 Gennaio 2015

Partecipanti all’incontro: Cecilia, Francesca, Giorgio, Laura, Anna, Giulia, Elena.
Parecipa in veste di uditore: Silvia

Cecilia inizia l’incontro mostrando scene salienti del film “The Road-La Strada” (2009) con Viggo Mortensen e Charlize Theron.
Scena 1: Il padre sogna la moglie e sé stesso in un giardino fiorito, (sogno positivo) poi si sveglia e si accorge che è in corso un incendio. La moglie è incinta.
Scena 2: Il padre sta leggendo un libro al figlio di notte, si addormentano poi si svegliano per un incendio.
Scena 3: Il padre lava via dal figlio le cervella dell’uomo a cui ha sparato.
Scena 4: La scelta della madre (di uccidersi)
Scena 5: La madre va ad uccidersi senza dire addio al figlio. Il Padre si libera della fede nuziale.
Scena 6: Padre e figlio trovano il bunker con il cibo.
Scena 7: Padre e figlio incontrano il vecchio e il bambino insiste per lasciargli una lattina di frutta.
Scena 8: Un uomo ruba il carrello al padre e al figlio, i due lo ritrovano e il padre si fa dare anche i vestiti dell’uomo.
Scena 9: Il bambino rimasto orfano incontra quella che diventerà la sua nuova famiglia.

In un mondo post-apocalittico un padre e il suo bambino percorrono la strada diretti ad sud, ma in realtà non c’è nessun Nord-Est-Sud-Ovest, l’autore non specifica in che zona è ambientata la vicenda, si sa solo che è tutto arido e infertile, che non c’è nessun Dio “e se ci fosse sarebbe da strangolare”, il pianeta è agonizzante e con lui i pochi relitti umani rimasti, intenti solo a sopravvivere, a qualunque costo, anche uccidendo e nutrendosi dei loro simili.
(Pag 11:“Nei giorni e nelle settimane seguenti proseguirono verso sud. Solitari e ostinati. Una regione scabra e collinosa. Case di lamiera. A tratti sotto di loro intravedevano la superstrada in mezzo alle nude macchie di foresta secondaria. Freddo, sempre più freddo. Appena superato il profondo avvallamento fra le montagne si fermarono e spinsero lo sguardo oltre quella vasta gola verso sud, dove non c'era che terra mangiata dal fuoco a perdita d'occhio, con le sagome annerite delle rocce che spiccavano fra i banchi di cenere e i pennacchi di cenere che si alzavano e venivano sospinti lungo la distesa brulla. La traccia di un sole smorto che si muoveva invisibile oltre le tenebre.
Impiegarono interi giorni per attraversare quella piana cauterizzata. Il bambino si era dipinto delle zanne sulla mascherina con dei pastelli che aveva trovato e andava avanti senza lamentarsi. Una delle ruote anteriori del carrello si era mezzo scassata. Che ci potevano fare? Niente. Poiché davanti a loro tutto era ridotto in cenere, accendere fuochi era impossibile e le notti erano lunghe, buie e fredde come mai prima. Un freddo che spaccava le pietre. Un freddo assassino. L'uomo teneva stretto a sé il bambino tremante e contava ogni suo fragile respiro nell'oscurità.)


Tematiche:

Tema della Speranza
Il bambino è la speranza, la luce del libro. E’ buono, è ottimista, è puro. Porta “il fuoco” (porta la speranza). Fa solo del bene ed è considerato dal padre come una divinità, un elemento simbolico più che un vero e proprio bambino.
Il padre ha la speranza di salvare il bambino, o almeno di farlo vivere più a lungo possibile mantenendolo in forze, e per questo lo protegge fino a che gli è possibile. La speranza del padre è il figlio stesso, sottolinea Giulia, ed egli rimane vivo solo per il bambino.
La madre del bambino invece avrebbe voluto usare la pistola per mettere fine alle loro esistenze prive di speranza. Ma la mancanza di un terzo proiettile nella sua pistola e l'ostinato rifiuto dell'uomo/padre di togliere la vita a sé e al figlio la inducono a lasciare i due, risoluta ad andarsene senza nemmeno salutare il suo bambino.
Il bambino, non avendo conosciuto altri esseri umani all’infuori dei suoi genitori dovrebbe essere diffidente e schivo, invece è aperto, è buono. Ci si chiede: “E’ questo un messaggio di speranza?”
Per vivere in un mondo devastato dall’apocalisse in una situazione di estremo e incommensurabile degrado fisico e psicologico bisogna avere una grande fede (speranza).
Francesca sottolinea come una debole speranza si trovi nel finale, quando il bambino, ormai rimasto orfano, si aggrega ad una famiglia che è miracolosamente rimasta intera (nel film hanno addirittura un cane). Finale fin troppo ottimistico date le premesse.
In questo frangente si apre un acceso dibattito: la madre è estremamente egoista come pensano Cecilia ed Elena, e non si cura del bene di suo figlio o è invece egoista il padre, come pensa Laura; perché costringe il bambino e sé stesso a continuare una lotta senza speranza per sopravvivere in un mondo che ha cessato di esistere? Secondo Giorgio la madre non è egoista, ha fatto solo una scelta diversa.

Tema dei Sogni. I sogni nel libro e anche nel film sono predittori di avvenimenti, connotano il futuro. I sogni belli anticipano sempre una catastrofe, un pericolo. I sogni brutti invece sono sintomo di speranza e di cose positive che stanno per accadere. “Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso.” (p. 144)

Figura della Donna: La madre del bambino è colei che mette al mondo il figlio del futuro (connotazione positiva) però poi si uccide (connotazione negativa). C’è una seconda figura di donna nel libro: colei che accoglie il bambino nella sua famiglia alla fine del libro (speranza finale).

Stile:

Il libro è formato da paragrafi che sono quasi interscambiabili l’uno con l’altro. Francesca sottolinea che c’è una totale mancanza di varietà, le cose sono sempre uguali.
Gli eventi sono episodici: padre e figlio sono sempre affamati, sempre sporchi. I dialoghi sono essenziali, scarni, stanchi come le persone che li pronunciano, essenziali nella loro esposizione.
Le frasi sono coordinate, brevi e incalzanti, è spesso presente il soliloquio. Lo stile è asciutto, essenziale, con dialoghi che si mescolano alla narrazione della storia che è costantemente cruda e allucinante. (Pag 85: “Cominciò a scendere gli scalini di legno grezzo. Chinò la testa poi accese l 'accendino e protese la fiammella verso il buio come un'offerta. Freddo e umidità. Un puzzo inumano. Il bambino gli si aggrappava al giaccone. Intravedeva una parete di pietra. Un pavimento di argilla. Un vecchio materasso macchiato di scuro. Si chinò, scese un altro gradino e illuminò lo spazio davanti a sé. Rannicchiate contro la parete opposta c'erano delle persone nude, maschi e femmine, che cercavano di nascondersi, riparandosi il viso con le mani. Sul materasso era steso un individuo con le gambe amputate fino ai fianchi e i moncherini anneriti e bruciati. L'odore era micidiale.
Gesti, sussurrò l'uomo.
Uno dopo l'altro i prigionieri si voltarono, battendo le palpebre per quel barlume di luce. Aiuto, mormorarono. La prego, ci aiuti.
Cristo, disse lui. Oh Cristo.
Si voltò e afferrò il bambino. Svelto, disse. Svelto. L'accendino gli era caduto. Non c'era tempo per cercarlo. Spinse il bambino su per le scale. Aiuto, imploravano quelli.
Svelto.
Ai piedi delle scale apparve un volto barbuto. Ti prego, gridò battendo le palpebre. Ti prego.
Svelto. Svelto, per l'amor di Dio.
Spinse il bambino fuori dalla botola facendolo cadere a terra. Usci, afferrò lo sportello, lo richiuse brutalmente e si voltò per raccogliere il bambino, che però si era già rialzato e stava facendo il suo solito balletto del terrore.
Per l'amor di Dio, muoviti, gli sibilò. Ma il bambino stava puntando il dito verso la finestra e quando l'uomo guardò fuori si sentì gelare il sangue. Quattro individui barbuti e due donne stavano attraversando il prato diretti verso la casa. Afferrò la mano del bambino. Cristo, disse. Corri. Corri.)
Gli aggettivi utilizzati sono sempre diversi, lo stile è ricercato (pag. 100: Rovistarono fra le rovine carbonizzate di case in cui un tempo non avrebbero messo piede. Un cadavere che galleggiava nell'acqua nera di una cantina in mezzo ai rifiuti e alle tubature arrugginite. L'uomo si fermò dentro un salotto parzialmente incenerito e aperto al cielo. Le assi deformate dall'acqua inclinate verso il giardino. Volumi fradici sugli scaffali di una libreria. Ne prese uno, lo aprì e lo rimise a posto. Tutto era umido. Marcescente. In un cassetto trovò una candela. Non c'era modo di accenderla. Se la mise in tasca. Usci fuori nella luce livida, rimase lì in piedi e per un attimo vide l'assoluta verità del mondo. Il moto gelido e spietato della terra morta senza testamento. L'oscurità implacabile. I cani del sole nella loro corsa cieca. Il vuoto nero e schiacciante dell'universo. E da qualche parte due animali braccati che tremavano come volpacchiotti nella tana. Un tempo e un mondo presi in prestito e occhi presi in prestito con cui piangerli.)

La narrazione è in generale oggettiva (narratore esterno), ma diventa soggettiva (punto di vista del padre) a pag. 67: (“Il cane che ricorda lui ci ha seguiti per due giorni. Io cercavo di attirarlo con delle moine ma quello non si fidava. Ho costruito anche un cappio di fil di ferro per catturarlo. […] Questo è il cane che si ricorda. Di bambini non ne ricorda nessuno.”).In generale il punto di vista del lettore è molto vicino a quello del padre.
Il bambino non ha avuto istruzione, perché l’apocalisse è incominciata quando lui era ancora piccolo (sono passati circa dieci anni dalla nascita del bambino all’inizio dell’apocalisse globale). Le uniche cose che legge o che si fa leggere dal padre, sono i libri che l’uomo è riuscito a portare con sé.
Molti dei presenti all’incontro sono d’accordo nell’affermare che questa può considerarsi una fiaba nera: perché co sono i buoni e i cattivi come in ogni fiaba che si rispetti, ed è anche presente la “Bacchetta magica”, ovvero la pistola, che nel caso potrebbe cambiare il corso degli eventi (vita/morte).
In ogni fiaba inoltre c’è l’eroe, che nel nostro caso è il bambino/divinità. In ogni fiaba l’eroe deve proseguire da solo. Questo ruolo del bambino come eroe/migliore dei buoni si esplicita nella tragica scena della morte del padre con questo dialogo:
Pag 211: “Devi andare avanti, disse. lo non ce la faccio a venire con te. Ma tu devi continuare. Chissà cosa incontrerai lungo la strada. Siamo sempre stati fortunati. Vedrai che lo sarai ancora. Adesso vai. Non ti preoccupare.
Non posso.
Non ti preoccupare. Questo momento doveva arrivare da tempo. E adesso è arrivato. Continua ad andare verso sud. Fa' tutto come lo facevamo insieme.
Fra poco ti passa, papà. Ti deve passare.
No, non passerà. Tieni sempre la pistola con te. Devi trovare gli altri buoni, ma non puoi permetterti di correre rischi. Niente rischi. Capito?
Voglio restare con te.
Non puoi.
Ti prego.
Non puoi. Devi portare il fuoco.
Non so come si fa.
Sí che lo sai.
È vero? Il fuoco, intendo.
Sí che è vero.
E dove sta? Io non lo so dove sta.
Sí che lo sai. È dentro di te. Da sempre. Io lo vedo.
Portami con te. Ti prego.
Non posso.
Ti prego, papà.
Non ce la faccio. Non ce la faccio a tenere fra le braccia mio figlio morto. Credevo che ne sarei stato capace, e invece no.
Hai detto che non mi avresti mai lasciato.
Lo so. Mi dispiace. Hai tutto il mio cuore. Da sempre. Tu sei il migliore fra i buoni. Lo sei sempre stato. Quando non ci sarò più potrai comunque parlarmi. Potrai parlare con me e io ti risponderò. Vedrai.
E riuscirò a sentirti?
Sí. Mi sentirai. Fa' come se ci parlassimo con la mente. E allora vedrai che mi senti. Ci vorrà un po' di allenamento. Ma non ti arrendere. Ok?
Ok.
Ok.”


Come in ogni fiaba c’è un finale; nel libro la connotazione non è esplicitata, non si sa se il finale sia positivo o negativo, (il bambino rimane orfano ma incontra una nuova famiglia) nel film invece la connotazione è decisamente positiva. Non si possono contestualizzare il periodo storico, anche se nel film pare che possano essere gli anni 70, e nemmeno la posizione geografica, anche se si propende per l’Europa perché su una nave c’è scritto Tenerife.

Cosa ha causato la devastazione in cui sono costretti a sopravvivere i personaggi?

Non si sa nemmeno questo. Noi possiamo fare delle ipotesi:
- Guerra nucleare/radiazioni, perché il paesaggio è brullo, non c’è vegetazione, gli alberi sono morti.
- Un incendio di proporzioni enormi (causato forse proprio dalla guerra nucleare?) che ha distrutto ogni forma di vita (ma la vita dovrebbe rinascere qualche tempo dopo un incendio, invece qui la terra è morta).

Domande che affliggono il lettore:
- C’è distinzione tra cattivi e buoni?
Sì: i cattivi mangiano gli uomini, i buoni non li mangiano. (Distinzione fatta dal bambino)
I buoni portano il fuoco. ( portare il fuoco significa portare calore umano, bontà, fare del bene agli altri)
Il padre in alcuni momenti potrebbe sembrare cattivo, in realtà non conserva sempre la sua umanità, è costretto a scendere a dei compromessi per salvare sé stesso e il figlio, ma cattivo non si può definire perché non mangia gli altri uomini.
- Perché l’autore scrive questo libro?
Probabilmente vuole farci capire dove potremmo arrivare. Noi , i nostri figli o i nostri nipoti potranno finire così.

- Dove andresti se avvenisse l’apocalisse anche qui?

Risposte dei partecipanti: A Spina (Lido di Spina), al sud (caldo)
- Perché l’autore ha chiamato il libro: “La strada”?
Perché non c’è altro che strada, e strada e strada. Finchè c’è strada c’è speranza.
La strada può essere vista anche metaforicamente come “percorso umano” dei protagonisti.
La strada è il luogo da cui devono sempre stare lontani, ma che sono costretti a seguire.

Chi dei presenti ha letto anche “Non è un paese per vecchi”, sottolinea che anche quel romanzo è simile, il pessimismo è una costante. Ricorda molto anche “Il sergente nella neve” romanzo di Mario Rigoni Stern, letto in precedenza sempre nel nostro Circolo Letterario, perche anche questi nostri protagonisti, in analogia con i soldati in guerra, camminavano senza riposo con scarpe rotte e piedi doloranti e lacerati.

Da questa lettura abbiamo voluto trarre qualche insegnamento che probabilmente McCarthy voleva darci, ovvero…
Morale del libro (morale della favola):
- Quando si arriva in situazioni estreme tra uomo e animali non c’è più differenza.
- E’ un mondo difficile: forza e coraggio.
- Fai un passo alla volta ma soprattutto fatti coraggio.
- Viggo tanta roba.

Voti:
Giulia: 6
Elena: 8
Giorgio: 8
Laura: 6 ½ (a fatica)
Silvia: non lo ha terminato
Anna: 7 ½
Frency: 8 (ma non lo consiglierebbe a nessuno)
Ceci: 8


Infine Elena dà il titolo del prossimo libro da leggere: "Dio di Illusioni" di Donna Tartt
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Giulia
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Re: VERBALI degli Incontri

Post by Giulia »

Verbale redatto da Giulia Pasquali

"Dio di illusioni" di Donna Tartt
Libro proposto da Elena Lavezzi


Ravalle, 30 Maggio 2015

Partecipanti al'incontro: Elena, Anna, Giulia
Partecipanti in veste di uditore: Valentina (che dal prossimo incontro sarà ufficialmente parte del gruppo)

Prima di procedere con l'analisi del libro, si approfitta per aggiornare la lista dei partecipanti ed il relativo ordine di scelta del libro:

1. Francesca
2. Anna
3. Giorgio
4. Cecilia
5. Elena
6. Betta
7. Giulia
8. Silvia
9. Laura
10. Valentina

L'incontro inizia ufficialmente alle 16 e si apre con il ripercorrere dettagliatamente la trama del libro; in particolar modo, ci si sofferma sulla parte finale, per dar modo anche a Valentina di essere consapevole di quanto accade nelle ultime pagine, tra l’altro ricche di avvenimenti.

Si sottolinea che il primo espediente narrativo è proprio nella trama: sin da subito, infatti, si viene a conoscenza che uno dei protagonisti è stato ucciso e che gli omicidi sono i suoi amici e colleghi di studio.
Attorno a tutto ciò, poi, si sviluppa l’intera trama, raccontata in prima persona da uno dei protagonisti, Richard.

Il “giallo” di questo racconto è proprio di far capire al lettore come e perché si sia arrivati a questo omicidio, attraverso il racconto dei fatti e dei pensieri dell’insieme dei personaggi.

Dopo il ripercorrere la trama, ci si sofferma sulla descrizione del ritmo di lettura: esso è altalenante, la velocità e la lentezza del racconto si alternano molto spesso. Sono poi tutti d’accordo nel dire che forse il libro è troppo lungo e troppo ricco di particolari; in alcuni casi l’autore poteva essere più sintetico senza perdere comunque il senso del tutto. Ad esempio, il funerale di Bunny dura 100 pagine!

Valentina, poi, nota che non c’è nessun personaggio positivo: in ognuno dei protagonisti m anche degli altri personaggi che ruotano attorno a loro, c’è sempre un elemento di negatività nel loro comportamento.

Sono poi stati analizzati i temi principali trattati nel libro.

TEMA DELLA RELIGIONE
Come i personaggi, anche questa è trattata generalmente in negativo: Bunny ama bestemmiare contro la chiesa, ci sono molte morti, c’è la lunga descrizione del funerale di Bunny, ecc…
L’unico elemento positivo è forse il sogno di Richard, raccontato alla fine del libro in cui vengono elencate varie chiese (Santa Sofia, San Marco a Venezia, San Basilio a Mosca, Chartres, Salisbury e Amiens).

TEMA DELLA FAMIGLIA
Anche questo tema è trattato in senso negativo; i Corcoran, l’unica “vera” famiglia descritta nel libro, sono una famiglia di facciata (la madre assume droghe e psicofarmaci, i fratelli vanno d‘accordo solo apparentemente, ecc…); Richard è un figlio abbandonato a se stesso, tanto che si è dovuto crescere da solo, facendo scelte a volte sbagliate, frutto della sua inesperienza; i gemelli Charles e Camilla sono orfani ed anch’essi hanno dovuto crescere da soli e “costruirsi” una famiglia (tanto che più volte nel libro si fa capire che tra loro ci fosse anche qualcosa di più); Francis ha una madre molto giovane, che si fidanza con un ragazzo della stessa età del figlio; Henry ha una mensilità per il suo mantenimento, ma anch’egli non ha nessun affetto reale da parte dei famigliari.

TEMA DELLO STORDIMENTO
E' forse il più importante del libro, poiché è grazie allo stordimento dionisiaco dei protagonisti che avviene la prima uccisione di notte e a partire dalla quale si sviluppa il percorso che porterà all'uccisione anche di Bunny. Lo stordimento è ottenuto in molti modi diversi e molto frequentemente da tutti i personaggi del libro: fumo, droghe, alcol, sesso e baccanali durante le feste al campus, al sabato sera, durante la settimana “preparatoria” al rito dionisiaco.
In tutto ciò, Julian, il professore dei ragazzi, ha un ruolo determinante: la sua passione e devozione (e quasi ossessione) per il greco antico porta i ragazzi a voler mettere in pratica quanto letto e tradotto sui testi che faceva loro studiare Julian. Passa addirittura il messaggio che i “bravi” sono quelli che uccidono, poiché hanno il coraggio di non uniformarsi alla società corrente.

Elena ritiene che in tutto ciò, il personaggio di Bunny, anche se antipatico, sembra servire a riportare alla ragione i suoi amici quando vede che stanno esagerando; anche se non è al loro livello culturale, è l’unico che ha dei contatti con il modo esterno e che può capire che stanno sbagliando.
Richard, invece rimane sempre non completamente integrato nel gruppo, e non è mai davvero stordito, anche perché è l’unico che riesce a raccontare questa storia con lucidità.

TEMA DELLA MORTE
Non particolarmente approfondito, ma molto presente poiché ci sono 2 omicidi (l’agricoltore e Bunny), 1 tentato omicidio (quando Henry dà a Charles le pastiglie della madre di Bunny), 1 tentato suicidio (Francis).

TEMA DELL’AMORE
Anche questo tema non è molto approfondito, ma i legami amorosi sono trattati sempre in senso negativo: l’amore non corrisposto, l’amore incestuoso tra fratello e sorella, l’amore omosessuale.

TEMA DEL TEMPO E DELLO SPAZIO
Il racconto sembra decontestualizzato dal tempo e dallo spazio; se non ci fossero alcuni particolari (automobili, telefono a gettoni, “il dottor Dolittle”, il benzinaio), questa storia sarebbe potuta accadere in molti periodi storici e in molti luoghi.
Questa decontestualizzazione è forse utilizzata dall'autrice per far percepire al lettore lo stordimento dei ragazzi, anch'essi considerati vivere una vita fuori dal tempo in quanto rinchiusi tra loro stessi.

Altri temi minori, ma presenti in molti punti del racconto sono:

TEMA DELLA MENZOGNA
Inizia con Richard quando per farsi accettare del gruppo racconta bugie. La menzogna, poi, si dipana lungo tutta la storia per permettere ai ragazzi di coprirsi dopo gli omicidi.

TEMA DEL SEGRETO
Strettamente unito a quello della bugia, il segreto è quello unisce i ragazzi per tutta la vita, avendo condiviso un’esperienza forte e che non si può raccontare a nessun’altro (se non a noi lettori!).

TEMA DELLA RICCHEZZA
E' spesso evidenziata la disparità di classi sociali e di provenienza geografica.
La ricchezza è poi spesso oggetto di ostentazione: Henry ostenta la sua ricchezza culturale, gli altri ostentano una ricchezza più materiale.


Siamo poi passate ad analizzare gli elementi stilistici di trama e scrittura.

La prima cosa che tutti notano è che manca la descrizione dettagliata dell’omicidio di Bunny, nonostante tutto il libro si incentri su questo.

Ci sono spesso dei buchi e dei salti temporali, ed i dialoghi sembrano in realtà delle scene teatrali.

Lo stile della scrittura è moderno e lineare, è un susseguirsi di avvenimenti, non ci sono altri particolari espedienti se non il ritmo altalenante, la mancata descrizione dell’omicidio di Bunny, e i salti temporali.

Anna ha fatto il parallelismo tra una persona che uccide ed i soldati che vanno in guerra: sul momento non ci si accorge di quello che si sta facendo poiché si è presi dalla situazione, ma solo dopo ci si accorge che questa esperienza li accompagnerà per tutta la vita. Per questo le consiglierebbe questa lettura ai giovani: le azioni hanno sempre delle conseguenze e bisogna riflettere bene prima di fare qualunque cosa.

Infine, Valentina nota un parallelismo tra questo libro ed “Il grande Gatsby” (che tra l’altro è il libro preferito di Richard): in entrambi i romanzi, infatti, c’è un personaggio che guarda da fuori quanto accade e che non riesce ad integrarsi completamente; inoltre, la frase “vecchio mio” è utilizzata da entrambi i protagonisti per riferirsi ai loro amici.

Voti:
Giulia: 7,5 per l’espediente del ritmo e della decontestualizzazione della storia
Anna: 7,5 storia di impatto e molto attuale, scorrevole ma un po’ troppo lungo
Elena: 8 è il suo genere preferito, ma un po’ troppo prolisso

Infine, Giulia dà il titolo del prossimo libro da leggere: "Via delle botteghe oscure" di Patrick Modiano.
Laurina
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Re: VERBALI degli Incontri

Post by Laurina »

Verbale redatto da Laura Facchini

Ferrara, 20 settembre 2015

VIA DELLE BOTTEGHE OSCURE di PATRICK MODIANO

Libro proposto da Giulia

Partecipanti: Giulia, Laura, Anna, Valentina, Giorgio. Francesca e Cecilia partecipano via Skype.

Giulia apre la discussione introducendo i temi principali attorno ai quali ruota il libro: la ricerca, l’illusione, il passato, la memoria e il viaggio.

In particolare, ricerca e illusione sono argomenti strettamente correlati: il protagonista è alla ricerca della sua personalità, esterna (come si chiama, se aveva una famiglia, ecc.) ed interna (carattere, temperamento, sentimenti), e ogniqualvolta scopre un indizio, un nome, si illude di essere quella persona, L’illusione è meno significativa nel momento in cui raccoglie dati reali.

Per Giulia i due temi (ricerca e illusione) si avvicinano e si allontanano costantemente: la ricerca crea illusione, segue la scoperta dell’errore per iniziare daccapo. Il punto di svolta nell’indagine, nonché la sola scoperta reale e tangibile, si ha nel momento in cui André Wildmer (il fantino) riconosce il protagonista (Jimmi Pedro Stern alias Pedro McEvoy) come suo “amico” (sul rapporto di amicizia, vedi oltre).

Per Francesca, invece, ricerca e illusione sono binari paralleli: nel momento in cui Pedro scopre una pista, l’illusione svanisce, per poi tornare di nuovo.

Per Laura i due temi non sono paralleli, ma interconnessi: la ricerca è permeata dell’illusione di essere qualcuno (non taluno in particolare, ma una persona, un’identità).

La prima impressione che si ha leggendo il libro è quella del climax: un flusso di informazioni fino ad arrivare all’acme (ovvero la scoperta dell’identità). Tuttavia, man mano che si prosegue con la lettura, ci si accorge che l’andamento non è in salita, bensì altalenante: scoperta di un indizio, incertezza, presa di coscienza dell’errore, di nuovo scoperta e così via fino alla fine.

Sembra un poliziesco sui generis: il lettore ha una serie di indizi formati solo da ricordi e da qualche dossier. L’Autore, anziché procedere come in un normale giallo, ha scelto di far seguire al suo protagonista la strada dei ricordi di terze persone (per la maggior parte estranei) per arrivare alla verità. Inoltre, quando Pedro inizia la ricerca ha già una pista, ma non ne viene spiegata l’origine.

Durante la discussione emerge il problema della causa scatenante la perdita di memoria. Infatti, il protagonista racconta al lettore che l’amnesia risale a dieci anni prima e sembra dovuta all’evento traumatico di Megève (nel tentativo di superare il confine, viene abbandonato da i suoi accompagnatori sulle montagne, in mezzo alla neve), tuttavia il lettore non ha la certezza che sia stato questo il fattore di shock.

Francesca ha avuto l’impressione che il protagonista avesse delle amnesie già prima della perdita totale della memoria. Per Valentina, più che amnesie sembrerebbero attacchi di panico (la paranoia di essere seguito, il paura di uscire di casa). Laura osserva che di tutti i momenti significativi della vita (reale o apparente) del protagonista non viene fornita spiegazione: perché perde la memoria? Perché cambia nome? Perché è perseguitato?
Giulia e Cecilia puntualizzano che la storia è parzialmente decontestualizzata: se mancassero i riferimenti precisi a vie e monumenti, non si riuscirebbe a capire dov’è ambientata la vicenda. Dati certi, invece, sono l’anno in cui il protagonista intraprende la ricerca (1965) e le informazioni che permettono di capire che l’amnesia risale al tempo della seconda guerra mondiale.

Punto controverso (e molto discusso) è quello dei riferimenti temporali. I dati certi sono che Pedro ha lavorato per dieci anni nell’Agenzia di investigazioni di Hutte e inizia le ricerche nel 1965, dunque l’amnesia risale al 1955. Tuttavia, alla fine del libro il protagonista ricorda di aver perso la memoria nel tentativo di fuggire all’estero durante la guerra (e questo è certo, dato che ci sono riferimenti in tal senso), dunque attorno al ’40-’45. Risulta un buco temporale di 10-15 anni in cui non si sa cosa ne è stato di Pedro.

Secondo Francesca, ciò avalla la teoria delle plurime amnesie: in dieci-quindici anni non ha fatto nulla, non si è attivato per cercare ciò che era stato di sua moglie e dei suoi amici, ergo ha perso la memoria più volte. Trascorrono ben venti anni dalla perdita della memoria – o perlomeno da quando il lettore suppone abbia perso la memoria – all’inizio delle ricerche.

Per Giulia, se lui avesse realmente perso la memoria negli anni della Guerra si ricorderebbe qualcosa dei vent’anni trascorsi, ma non è così. All’inizio del libro ricorda solo gli ultimi dieci anni passati all’Agenzia, poi ricorda un tempo circoscritto al periodo della guerra, di conseguenza o è rimasto nell’oblio per 10 anni oppure ha perso la memoria nel 1955 (ipotesi più plausibile).

Anna fornisce un’altra interpretazione dei fatti: Pedro raccoglie informazioni a partire dai ricordi di alcune persone, che gli parlano solo di un certo periodo di tempo (1935-1940). Successivamente, egli cerca informazioni solo per quell’arco temporale, quindi i ricordi riaffiorano solo in relazione al periodo di tempo contrassegnato dagli indizi.

In ogni caso, restano dei dubbi sull’effettivo recupero della memoria da parte del protagonista. Secondo Francesca e Giorgio, Pedro alla fine riesce ad identificarsi, ma non trova la sua personalità, chi è veramente, i sentimenti provati in passato, le emozioni. Per Laura Pedro è uno spettatore della sua vita; ciò è dovuto al fatto che è completamente solo: se hai perso la memoria e non hai nessuno che ti aiuta a ricostruire la tua vita, è difficile rievocare i sentimenti e le emozioni provate.

Altra questione affrontata è quella dei legami: perché nessuno lo cerca? Perché è fuggito con Denise (sua moglie) e i suoi amici? E, soprattutto, dov’è finita Denise?

Per Francesca e Giulia il fastidio che il lettore prova per le domande senza risposta è lo stesso provato dal protagonista. Laura non è d’accordo: per il lettore è frustrante, ma non lo è altrettanto per il protagonista, che rimane completamente distaccato dagli eventi passati, è anaffettivo. Per Anna è semplicemente rassegnato.
Tutti sono d’accordo nel ritenere che Denise sia morta sulle montagne a Megève e che sia alquanto irritante non avere risposte.
Laura si chiede se davvero il protagonista ha vissuto una vita priva di sentimenti oppure questa mancanza è dovuta alla Guerra (in altri romanzi ambientati nel periodo dei conflitti mondiali, i personaggi sono superficiali e incapaci di sentimenti durevoli).

Tutti i personaggi – Pedro compreso – sono effimeri, meschini, ad eccezione di Hutte, il quale sembra l’unico dotato di spessore emotivo. Infatti, Hutte si è interessato di Pedro quando aveva perso la memoria, accogliendolo come cliente (Pedro si era rivolto a lui per risolvere il suo caso), offrendogli un lavoro nella sua agenzia e procurandogli un nuovo stato civile. Si ha l’impressione che il protagonista rimanga più impressionato dalle emozioni provate dagli sconosciuti (Stioppa, l’anziana signora proprietaria dell’appartamento in cui viveva con Denise, la coppia conosciuta a Megève) che dai ricordi degli amici e della moglie. Inoltre, è molto strana la circostanza che dei perfetti sconosciuti gli lascino dei ricordi personali.

E’ molto triste che nessuno abbia mai cercato Pedro in vent’anni dalla sua scomparsa. L’Autore non spiega i motivi di questa totale assenza di interessamento da parte dei suoi cari.

Anna introduce l’argomento del punto di vista: il lettore segue il protagonista e vede esclusivamente ciò che accade a lui. I capitoli sono di riferimento nel cambio di prospettiva. Giulia osserva che il libro è strutturato “sulla sua mente”. Secondo Giorgio, il punto di vista è esclusivamente quello del protagonista: la narrazione salta in continuazione da ciò che fa a ciò che pensa nel momento in cui sta facendo una cosa. Infatti, i ricordi che l’Autore ci fa scoprire mano a mano sono sparsi e decontestualizzati, proprio come accade al protagonista. Quindi, si può dire che si legge nella mente di Pedro. Per Valentina è disorientante il cambio di prospettiva: infatti, si segue sempre quello che fa il protagonista fino alla fine, in cui si cambia angolazione improvvisamente. Anche i personaggi del libro sono tutti caratterizzati in base ai ricordi di Pedro.

Viene affrontato il tema del viaggio, mentale (la memoria, l’illusione) e fisico (da Parigi, a Megève, alla Polinesia). Alla fine del libro Pedro è in Polinesia e l’Autore fa capire che vuole recarsi a Roma, in Via delle Botteghe Oscure (per chiudere il cerchio).
Per Giorgio, il tema del viaggio (interiore) viene affrontato in modo particolare: non si tratta di un viaggio nelle profondità dell’animo, quanto piuttosto di un viaggio superficiale e anonimo, proprio perché il protagonista vive i suoi ricordi da spettatore. Inoltre, è per la maggior parte inconcludente.

Ci si chiede il motivo dell’Autore nella scelta del titolo. Nel libro, l’unico riferimento a Via delle Botteghe Oscure si ha quando Pedro riceve il dossier su di lui – cioè sulla sua vera (apparentemente) identità, quella di Jimmy Pedro Stern – che la riporta come luogo di residenza del protagonista. Giulia vede un collegamento tra il nome della via e l’oscurità, l’oblio in cui è caduto il protagonista. Francesca si chiede perché l’Autore ha scelto un nome così significativo. Probabilmente perché ha abitato lì. Per Laura il titolo evoca le origini del protagonista.

Nella postafazione di Giorgio Montefoschi, il romanzo viene definito “proustiano (non consolatorio)”. Ci si chiede il motivo di tale accostamento. Solo Francesca e Cecilia hanno letto Proust e ravvisano delle somiglianze in quanto entrambi gli Autori trattano la tematica della memoria.

Ultima riflessione di Anna è quella sull’emigrazione: Pedro e Denise vendono gioielli, spendono somme ingenti per sfuggire alla Francia nazista e poi vengono ingannati da due balordi che gli rubano tutto e li abbandonano sulle montagne in mezzo alla neve. E’ un argomento estremamente attuale. Francesca sottolinea la distinzione tra profughi e migranti economici.

Voti:
- Francesca: 9. Le tematiche sono originali, il libro è ben strutturato e tiene alta l’attenzione, è coinvolgente.
- Cecilia: 8. Il lettore è coinvolto ma manca la fine, è incompleto.
- Giorgio: 7,5. Il libro è ben scritto ma non è il mio genere.
- Valentina: 8. Malinconico ma coinvolgente.
- Anna: 8. Bella la capacità di sintesi dell’Autore: poche parole per trasmettere il concetto.
- Laura: 8. Il libro è avvincente ma lascia in sospeso molte questioni.
- Giulia: 8,5. Il libro è originale e ben strutturato, coinvolgente ma è irritante perché incompleto.
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