VERBALI degli Incontri

Per tutto quello che riguarda l'Organizzazione degli Incontri del Circolo Letterario e i relativi Verbali.
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"LA LIBRERIA SULLA COLLINA" di Alba Donati
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FERROVIE DEL MESSICO, di Gian Marco Griffi

Ravenna, 8 giugno 2024
Quarantanovesimo incontro
Libro proposto da Valentina che modera l’incontro
Verbale redatto da Laura R.
Presenti all’incontro: Valentina, Cecilia, Anna, Francesca e Laura R.

Dato il tipo di romanzo impegnato, monumentale, ci ha molto stupite il fatto che l’autore non sia uno scrittore così navigato, ma nella vita si occupa di un campo di golf. Considerata la sua abilità nello scrivere e i riferimenti ad autori famosi, sicuramente avrà letto molto; è stato sottolineato da Anna, nello specifico, un riferimento chiaro a “Il giardino dei sentieri che si biforcano” di Borges.
E’ un libro dalla mole importante, dallo stile barocco che tratta di tanti argomenti e di storie diverse, legate tra di loro in maniera complessa, a volte grottesca e surreale; nonostante ciò, la scrittura è risultata scorrevole e non noiosa.
E’ chiaro nella descrizione delle scene, ad esempio a Cecilia è rimasta vivida nella memoria la scena della fucilazione nella vigna. Anche la descrizione della burocrazia tedesca al tempo del terzo Reich ci ha colpito particolarmente: usa molte ripetizioni, descrive una macchina senza pietà e senza senso critico, capace di condannare a morte una persona solo per aver accettato un libro in regalo sul lavoro, perchè così è la prassi.
Proviamo a fare un riassunto del libro: un’impresa ardua dato che è denso di narrazioni di fatti diversi non in ordine cronologico. Gran parte del romanzo segue il viaggio di un libro, la ricerca di questo oggetto porterà all’intreccio di diverse storie di tanti personaggi.
Bardolf Graf, impiegato amministrativo, è un adulto che sembra un bambino, ignaro motore di tutta la storia, accetta un libro sul lavoro, probabilmente è “Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México”, per questo viene ucciso dal governo tedesco e il libro verrà distrutto.
Asti, Repubblica Sociale Italiana, febbraio 1944; Cesco Magetti, milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria, tormentato dal mal di denti, viene incaricato dall'alto, di compilare una mappa delle ferrovie del Messico; si rivolge in biblioteca al fine di trovare informazioni preziose sul suo compito e qui incontra Tilde Giordano, ragazza bellissima e folle. Cesco si innamora di lei all'istante e perdutamente. Tilde però è promessa a Steno, partigiano. Cesco e Tilde vanno a cercare il libro “Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México” da Lito Zanon, addetto cimiteriale alla bollitura di cadaveri e Mec il muto, suo collega fin dai tempi in cui insieme costruivano ferrovie in Sudamerica; ora vivono nel cimitero di San Rocco, dove lavorano. I due hanno conosciuto Gustavo Adolfo Baz, autore del volume, Lito racconta molte vicissitudini inerenti alle ferrovie del Messico, ma non ha più il libro, l’ha dato ad Edmondo Bo frenatore poeta, alcolista e oppiomane, che vive in una sagrestia di una chiesa. Da lui continuerà la ricerca Cesco, mentre Tilde viene controllata dai genitori che non accettano i suoi comportamenti bizzarri e particolari e per questo decidono di segregarla in casa e chiedere consulto medico. Anna suggerisce un collegamento tra il personaggio di Tilde ed Alda Merini: entrambe sono incomprese.
Edmondo Bo non ha più il libro, il quale dovrebbe essere ad un dopolavoro, ma anche lì Cesco è sfortunato, lo rimbalzano presso un Conte bibliofilo. Quest’ultimo afferma di aver avuto tra le mani quel libro, ma non trovandolo abbastanza interessante, l’ha lasciato al bagno pubblico. Questo luogo viene descritto come una discesa agli inferi, dove Cesco incontra persone che dovrebbero essere morte e deve fare i conti con qualche senso di colpa. Anche qui non trova il libro e dovrà rassegnarsi a creare la cartina delle ferrovie del Messico sulla base dei racconti di Lito, su un volume di fumetti di Topolino che ha letto in sala d’attesa dal dentista e su appunti che ha preso da un libro del conte.
Firmino è un amico d’infanzia di Cesco, ha combattuto in Russia e quando torna in Italia viene fucilato: questo fatto fa svegliare Cesco dal suo torpore infantile. Cesco si è fatto prendere in giro un po’ da tanti personaggi, non è mai stato autorevole, si fa trascinare nelle cose e cerca di eseguire gli ordini meglio che può perché si presuppone quello da lui , ma non ci crede davvero, non è un fascista convinto. Addirittura ha paura del dentista, scappa dalla sala d’aspetto e si sente redarguire dal dottore che afferma essere vergognoso farsi difendere da soldati come lui. Da Lito Zanon si fa apostrofare “soldatino”, da Ettore e Nicolao si fa derubare del lasciapassare e dai suoi superiore si fa trattare come un bambino.
Dalla morte di Firmino Cesco acquisisce una nuova consapevolezza e quando si presenta al cospetto dell'orribile Obersturmbannführer Hugo Kraas, non sopporta di essere da lui umiliato e lo uccide; decide da che parte stare anche se questo comporta delle conseguenze: deve fuggire per non essere fucilato. Si rivolge ad un prete che organizza la fuga di partigiani ed ebrei con un camion verso la Svizzera. Prima di partire Cesco vuole riconsegnare alla sua amata Tilde la macchina fotografica e la deve lasciare ad Anna, donna di casa di Tilde che l’ha cresciuta; il giorno dopo Cesco affronta il viaggio tenendo la mano ad un bambino ebreo di 7 anni.
Notiamo che dall’uccisione di Kraas Cesco non soffre più male il mal di denti: non subisce più la vita.
Nonostante i fatti siano realistici e ambientati in tempi e luoghi ben riconoscibili e definiti, dobbiamo confrontarci con fatti assurdi come ad esempio la fabbrica dei colori in cui si usa una la cromoterapia per togliere i dolori, per uccidere, per guarire e per ogni altra cosa. Paradossale è anche il racconto dei fatti che riguardano Tilde, lobotomizzata e costretta a vivere come un vegetale attaccata ad una macchina che esprime i suoi pensieri. Con questo sistema riesce a chiedere aiuto ad Anna, le dà indicazione di scrivere a Steno e di consegnargli una pagina di un libro sul pesce islandese della pazzia che Anna trova nella stanza della ragazza, ma noi lettrici l’abbiamo notato prima a casa del Conte (come ci è finito lì?). Steno riceve il messaggio di Anna e sa cosa deve fare: deve recuperare questo pesce per Tilde e per farlo si tuffa in un fiume in Piemonte e nuota fino in Islanda. Il pesce mangia Tilde che guarisce. In un breve capitolo “La sigaretta di Tilde”, l’autore descrive tutta la vita di questo personaggio che ci è sembrata molto sottotono, decisamente ordinaria, rispetto alla descrizione di lei fin qui letta, quasi alla fine si fosse conformata a ciò che la società si aspettava da lei: ha un figlio, Fausto, poi resta vedova e vive nel complesso una vita senza follie. Riceve molte cartoline da tanti diversi luoghi del mondo da parte di Cesco, il quale, invece, sembra proprio diventato un uomo avventuroso e senza paura.
Ci sono così tante le connessioni tra i personaggi e le vicende che abbiamo l’impressione ci sia sfuggito qualcosa, per esempio, la contessa che dona il libro tanto ricercato a Bardolf, è la stessa sepolta e poi riesumata nel cimitero di San Rocco? Il libro che Cesco cerca disperatamente è lo stesso che è stato sequestrato e poi distrutto dal governo tedesco? Saranno poi i piani più alti del governo tedesco a far partire l’ordine di procurare una cartina delle ferrovie del Messico, ordine arrivato al soldato semplice in Italia Francesco Magetti. Sarebbe utile forse una rilettura, ma la mole del romanzo (824p) scoraggia.
Abbiamo trovato questo libro davvero avvincente, complesso, fluviale, divertente e particolare, unico nel suo genere.
Propongo il titolo per il prossimo incontro “Attraversare i muri” di Marina Abramovic
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ATTRAVERSARE I MURI, Marina Abramović

Ferrara, domenica 6 ottobre 2024
Cinquantesimo incontro
Libro proposto da Laura R che modera l’incontro e redige il verbale
Presenti all’incontro che hanno letto il libro: Francesca, Cecilia, Anna, Giulia e Laura R.
Elena e Valentina hanno compiuto una lettura parziale.

Introduco l’incontro ripercorrendo il periodo dell’infanzia e della giovinezza dell’artista Marina Abramović, riassumendo i primi capitoli di questa sua autobiografia. Più volte nel libro, sottolinea quanto siano importanti le sue radici, di come l’abbiano formata e ispirata nel suo lavoro.
Marina nasce il 30 novembre 1946 a Belgrado, nella Jugoslavia postbellica, sotto la dittatura comunista del maresciallo Tito. E’ figlia di due eroi di guerra che si sono guadagnati entrambi un’importante carriera istituzionale per meriti militari. Nonostante la popolazione vivesse in ristrettezze di spazi abitativi ed economiche, avendo alte cariche, la famiglia Abramović è privilegiata; vive in un grande appartamento e Marina ha sempre potuto permettersi di studiare, andare a teatro, dipingere. La sua infanzia non è felice, veniva infatti picchiata dalla madre e dalla zia, le quali erano solite anche chiudere la piccola, per punirla nel plakar, uno stanzino dove lei immagina la presenza di spiriti. I genitori non vanno d’accordo, il padre ha delle discussioni molto violente con la madre e frequenta altre donne. Ad un certo punto suo padre, Vojo, lascia la famiglia per sposare una donna più giovane. Marina conosce l’affetto famigliare grazie alla nonna materna, Milica con la quale vive fino ai 6 anni. Ricordiamo come la nonna, cristiana ortodossa, festeggiasse con i nipoti il Natale, nascondendosi in casa propria, dato che le festività religiose erano severamente vietate sotto il regime comunista. I genitori sono molto duri con lei, le impongono un’educazione e un’etica del lavoro molto ferree. Ritroviamo questa volontà di farcela nonostante le difficoltà, nelle sue future performance; sua madre, Danica, era fiera di affermare non essersi mai lamentata in vita sua e anche negli ultimi giorni di vita, con piaghe sul corpo e praticamente inferma, asseriva di non avere dolore o bisogno di qualcosa.
Marina vive sotto il rigido controllo della madre fino alla soglia dei trent’anni, rispettando il coprifuoco, anche dopo essersi sposata con Neša. Frequenta a Belgrado l’Accademia delle Belli Arti dove continua a dipingere. Dopo il ’68 fa parte di un gruppo composto da altri 4 ragazzi, tra cui Neša, all’SKC, il centro culturale studentesco, in cui ha modo di sperimentare un’arte diversa, in particolare, ricordo i suoi lavori sonori: riproduce i suoni della natura nella grigia Belgrado, oppure riproduce il suono di una demolizione, dando così vita ad un’inquietante illusione. L’arte bidimensionale non le basta più, capisce che ha bisogno di lavorare con il proprio corpo per potersi esprimere.
Nel 1973 ad Edimburgo, ha la sua prima esperienza fuori dai confini nazionali; al festival a cui è invitata, presenta RHYTHM 10, una performance basata su un gioco da osteria di contadini russi e jugoslavi; usa 10 coltelli, un nastro bianco e 2 registratori. Sarà un successo. Dovrà tornare a Belgrado dove farà l’insegnante per potersi mantenere.
Secondo Elena e Francesca, molte delle performance non hanno molto significato e ci vedono una dimostrazione del poco rispetto che lei ha del proprio corpo. A tal proposito viene descritta la performance Thomas Lips, poi reinterpretata in RHYTHM 5 nel 1974, in cui viene aggiunto l’elemento del fuoco. La performance prevede che l’artista debba rompere a mani nude un bicchiere e con un pezzo di vetro debba incidersi sull’addome una stella a 5 punte, dopodichè ci si stende completamente nudi su un blocco di ghiaccio e un grande phon eroga aria calda in direzione dell’addome.
Un’altra performance che abbiamo nominato è quella eseguita a Napoli, presso lo Studio Morra nel 1975. Vengono messi a disposizione degli oggetti vari che le persone presenti possono usare come vogliono su Marina, ferma immobile come un fantoccio per un tempo di 6 ore. Noi lettrici, ci siamo sentite di definire questo, come un vero e proprio esperimento sociale; al calar della sera Marina racconta che le azioni su di lei hanno cominciato a diventare più audaci. Le hanno tagliato con le forbici la maglia, un uomo le ha ansimato nell’orecchio, addirittura le è stata puntata contro una pistola carica. Questa sua fiducia e volontà di mettersi nelle mani del prossimo, l’abbiamo poi ritrovata più avanti, quando per acquistare la casa dei suoi sogni ad Amsterdam, decide di fidarsi dello spacciatore che ci vive dentro in condizioni disastrose sia dell’abitazione che della sua persona. Marina lo aiuterà e i fatti le daranno ragione, poiché lo spacciatore riuscirà a ripulirsi e a riprendere in mano la sua vita e lei concluderà un affare immobiliare.
Nel libro, Marina spiega che nelle sue performance vuole incarnare e superare le paure così da indurre anche le persone a farlo nella loro vita. Noi la vediamo come un personaggio estremo e sicuramente sopra le righe.
Per Francesca tra tutte le performance, ce n’è una dal significato davvero profondo ed è “BALKAN BAROQUE” presentata presso il padiglione internazionale dell’Esposizione d’Arte di Venezia nel 1997. Con questo lavoro vincerà il leone d’oro come migliore artista. Fu giudicata una “non vera artista” dalle istituzioni del Montenegro e per questo decide di non esporre presso il padiglione montenegrino. La performance dura 4 giorni per 7 ore al giorno, durante tutto questo tempo pulisce una montagna di ossa di animali, lei in cima e circondata dalle ossa, indossando un vestito bianco per dar risalto alle macchie di sangue che si allargano man mano che procede il suo lavoro di pulizia. Il tutto avviene in un seminterrato, in cui si respira un’atmosfera asfittica e maleodorante, mentre sullo sfondo vengono proiettati dei video intervista a suo padre e sua madre. Vuole rappresentare e mettere in luce la guerra che si sta combattendo nei balcani, ma più in generale ha ritratto tutte le guerre.
Ripercorrendo le vicende sentimentali descritte nel libro, Elena non può che constatare come Marina sia stata presa in giro dagli uomini. Dal 1975 inizia una relazione amorosa e lavorativa importante con l’artista fotografo Ulay. Insieme si trasferiscono ad Amsterdam e dal 1977, per un paio d’anni, vivono in un furgone Citroёn con il quale hanno la possibilità di spostarsi e di raggiungere diverse città europee dove fare performance. Tra le varie importantissime esperienze che fanno insieme, Francesca ritiene la più significativa quella maturata nell’outback australiano, vivendo per 6 mesi con gli aborigeni, un’antichissima popolazione nomade che sopravvive a temperature altissime; ciò comporta il dover restare immobili per gran parte della giornata. Marina parla di questa popolazione come di un “tesoro vivente”; comunicano tra di loro telepaticamente, hanno delle visioni, sono in grado di prevedere il futuro, danno grande importanza ai loro sogni; per loro futuro e passato non esistono, vivono solo nel presente. Qui in Australia, dopo questo periodo, Ulay e Marina, concepiscono la performance: “Gold found by artists” in cui stanno seduti immobili uno di fronte all’altra, separati da un tavolo su cui vi sono oggetti simbolici: un boomerang, una pepita e un pitone, simbolo della vita e presente nel mito aborigeno della creazione. La performance prevedeva una durata di 16 giorni; erano previsti anche il silenzio e il digiuno. Ulay non riesce a sostenere la performance per tutta la sua durata a causa di un forte dolore al ventre che lo costringe diverse volte a lasciare il suo posto. Questo fatto sarà fonte di discussione nella coppia perché Marina decide di continuare senza di lui, portando a termine il lavoro. Io e Francesca evidenziamo come lei prenda il suo lavoro da vero “soldato”, con disciplina, sopportando il dolore e la fatica, mentre Ulay nella coppia è quello più debole che si fa sopraffare dalle situazioni ed è dipendente da alcol e droghe che lo rendono poco lucido.
Non possiamo non menzionare la loro ultima famosissima impresa come coppia: nel 1988 percorrono la grande muraglia cinese. Lei comincia dall’estremità orientale, quella “femminile”, dalla parte del mare, lui affronta il cammino dalla parte “maschile” del fuoco del deserto del Gobi, per poi incontrarsi a metà. E’ stato descritto il clima ostile all’impresa dovuto alla dittatura cinese, erano infatti sempre tenuti sotto controllo da numerosi soldati. La conclusione di questo progetto sancisce la fine del loro sodalizio di coppia nel lavoro e nella vita. Dopo averla tradita ripetutamente, Ulay si lega con la traduttrice cinese che lo ha accompagnato in Cina e insieme avranno una bambina. Marina è distrutta. La performance immaginata molti anni prima, doveva essere intitolata “the lovers”, e avrebbe dovuto concludersi con il loro matrimonio. Niente è stato come avevano immaginato.
Marina continua la sua carriera con la costruzione di oggetti transitori, utilizzando diversi materiali come rame, quarzo rosa, ossidiana. Costruisce delle coperte, delle tavole, delle sedie con cui le persone possono interagire e percepire diverse energie. Matura quest’idea sulla muraglia cinese. Durante il suo cammino su diversi minerali ha percepito scambio di energie attraversare il proprio corpo. Questo progetto la porta ad andare a vivere a Parigi per un po’.
Si recherà in Brasile, a Sierra Pelada, una regione ricca di minerali, ma soprattutto di oro, attorno al quale ruota tutta l’economia di questa regione. Chi si reca qui lo fa per cercare l’oro e sono disposti a morire a questo scopo, cosa che accade molto di frequente. Marina vuole fare delle riprese video sulle morti per un suo progetto dal titolo “How to die” e per avere la collaborazione dei cercatori d’oro, si presenta offrendo loro della coca-cola.

Nel 1999 ospita per 3 anni ad Amsterdam suo fratello Velimir con la figlia Ivana, a causa della difficile situazione venutasi a creare a Belgrado: dopo la morte del maresciallo, dittatore Tito, infatti, scoppia la guerra tra le diverse etnie presenti nell’ ex Jugoslavia. Nonostante abbia chiesto aiuto alla sorella, Velimir si dimostra tutt’altro che riconoscente. Non si dispone per fare alcun che in casa per aiutare, pretende di essere servito e non si preoccupa neppure per la figlia; Marina racconta di come abbia lasciato Ivana sola nella casa di Amsterdam per due settimane per andare da una sua fidanzata in Portogallo. La madre di Ivana, gravemente malata, chiede a quattro mesi dalla sua morte a Marina di pensare a Ivana. Marina riferisce candidamente di non aver mai voluto figli per potersi dedicare anima e corpo al suo lavoro e con la nipote afferma di aver cercato di fare del suo meglio.
Attraverso la descrizione del rapporto conflittuale con il fratello, ci arriva anche la sua volontà di criticare duramente la cultura balcanica maschilista dell’epoca in cui è cresciuta, dove le donne dovevano servire e riverire gli uomini. A tal proposito ricordiamo il differente atteggiamento dei genitori con i due figli: Velimir non veniva mai picchiato, il padre fece grandi feste in occasione della sua nascita, sua madre gli serviva il pranzo a letto, a lui in eredità è andata la parte più grande del lussuoso appartamento di Belgrado. Anna legge un passo del libro, in cui Marina racconta l’episodio dell’invio da parte di suo fratello di una cartolina raffigurante un uomo che cammina seguito da due donne curve sotto il peso dei suoi bagagli (pag 283) “Una volta Velimir mi mandò una foto d’epoca di un montenegrino che andava in vacanza con la madre e la sorella. Era uno scherzo, e al tempo stesso non lo era. (Nel presente le due donne avrebbero camminato davanti all’uomo per via dei campi minati.) Per Velimir, quello era davvero il ruolo delle donne. Ero felice di essermi sottratta a quel destino.”
Comincia una relazione importante con Paolo Canevari con cui si trasferirà a New York; a 60 anni si sposa con lui davanti al MOMA. Questa è la città in cui Marina diventerà davvero popolare; la svolta arriva nel 2002 con il suo lavoro “House with the ocean view”, viene citata nella famosa serie “Sex and the city” che la rende volto noto anche alla gente comune. Si sente adottata da questa città.
Nel 2005 per Guggenheim reinterpreta sette performance famose, una sua e le altre di sei artisti famosi “Seven easy pieces”. Vuole mettere in scena queste performance pagando i diritti d’autore, in quanto a suo dire, dal mondo (di nicchia) della performance art, altri ambienti come cinema, teatro, fotografia, moda hanno attinto idee, immagini, reinterpretato video, senza citare la fonte. A questo punto mi sono chiesta quali immagini possono essere diventate famose “rubando” da questo mondo. Credo che il libro fotografico “Sex”, di Madonna, potrebbe essere stato realizzato conoscendo questa forma d’arte; in particolare vi è una foto di Madonna stesa su delle candele, cosa che potrebbe rifarsi al lavoro di Gina Pane “The conditioning”. Valentina e Francesca pensano che Madonna abbia scelto le candele per sfidare la Chiesa, come da sua consuetudine. Cecilia crede che Madonna potrebbe conoscere bene la performance art, perché è sempre stata ispirata e interessata alle diverse forme d’arte.
Nel 2010, al MOMA, Marina viene consacrata icona pop con la performance “The artist is present”, in cui la performance diventa la vita reale. Qui avviene il famoso incontro con Ulay, il quale partecipa mettendosi in silenzio e immobile davanti a lei, come chiunque volesse partecipare durante i 3 mesi della performance. Questo è sicuramente il suo lavoro più conosciuto, quello che l’ha consacrata icona pop.
La sua relazione con Paolo, dopo 12 anni, va in crisi. Anche stavolta lei è quella che lavora di più nella coppia, la più determinata a darsi obiettivi e a raggiungerli. Lui ha presentato un lavoro alla biennale di Venezia che ha avuto successo e Marina ha festeggiato felice del risultato, ma spiega che un lavoro positivo non basta per avere successo. Paolo la tradisce con un’altra donna e si lasceranno. Anna nota come Marina sia estremamente fragile emotivamente nella sua vita privata, cosa che è in netto ed evidente contrasto con la forza fisica e mentale che dimostra nelle performance.
A New York si trasferisce in una casa particolare a 6 punte, appena fuori dalla città e costruita su un fiume. Notiamo come sia di estrema importanza per Marina il contatto con la natura. Comincerà una nuova fase del suo lavoro, in cui il pubblico diventa il performer, può provare in prima persona il Marina Abramovic Method. Istituisce il Marina Abramovic Istitute, in cui si dispone di organizzare seminari per chiunque voglia apprendere il suo metodo. Vi parteciperà con successo e risultati positivi, Lady Gaga. Contribuisce al suo metodo, la pratica della valpassana, appresa durante i suoi numerosi viaggi in India, che prevede il digiuno e movimenti lenti per aumentare la consapevolezza. Cerca, inoltre, di mettere i discenti in una posizione “scomoda”, disturbante, in modo che le persone acquisiscano il coraggio di affrontare le paure e l’ignoto, accettando anche eventuali fallimenti. Secondo Marina Abramović, l’arte deve servire a far acquisire una condizione mentale per affrontare con coraggio e consapevolezza la vita. (pag 97) “Mi ero convinta che l’arte dovesse essere disturbante, dovesse porre domande, dovesse predire il futuro.”
Come ha detto Giulia, la lettura di questo libro è stata come aprire una finestra su un mondo che conoscevamo poco.
Anna ha apprezzato ogni aspetto di questo libro. Cecilia ha trovato l’autrice molto esaustiva, la descrizione per immagini è stata così efficace non farle sentire la necessità di vedere le opere.
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